C’è qualcosa di immensamente rassicurante nell’arrivo della primavera.
Sabato scorso le strade erano piene di poltiglia fangosa e la neve scendeva su alberi e marciapiedi. Oggi la luce illumina asfalti asciutti e e rami scampati al gelo. Le primule colorano le stanze, come ogni anno, e fuori annuso un’aria più dolce e chiara.
Gli uccellini cantano la mattina, il rospo gracida verso sera. I bambini spuntano dalle case ancora prima che lo facciano i fiori e i guanti vengono riposti, insieme alle sciarpe, per il prossimo inverno.
Il giardino rinasce, sotto i raggi del sole e quest’anno ho un progetto nuovo: farò un piccolo orto sul terrazzo. Pianterò poche cose, facili, che crescano in regime di autogestione perché non ho molto tempo per curarle e nemmeno molta voglia ma sono curiosa di vedere come funziona il ciclo del germoglio, dal seme al mio piatto, di insalatina, rucola e ravanelli.
Avrei preferito fare una scelta più professionale e dedicare all’orto un angolo del giardino ma con sette gatti censiti e un numero imprecisato di loro amici diventerebbe una sfida all’acido urico.
Questi gatti, questi gatti tutt’intorno…non sono miei ma delle zie, che abitano nella casa accanto. Io ne ho avuta una sola, amatissima, rimpianta e insostituibile. Ma questi tanti gatti che occupano le poltrone e si addormentano acciambellati uno sopra l’altro, che passeggiano tra gli stinchi e rizzano le code per avere da mangiare, che sfrecciano sul prato e usano le aiuole come latrine ma non potrebbero occuparsi anche di un altro aspetto della gattitudine, cioè cacciare i topi?
I buchi sotto le rose, che sembravano abbandonati dopo attacchi velenosi e trappole minacciose, sono stati rifatti e, con la primavera, sono tornate anche le pantegane.
Il primo dei miei desideri per l’anno che viene è stato ignorato, ahimè. Non ci sono più i gatti di una volta.