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Trenitalia, chiacchiere senza rete

Creato il 19 aprile 2012 da Albertocapece

Trenitalia, chiacchiere senza reteAnna Lombroso per il Simplicissimus

Una volta nelle pieghe delle famiglie si trovava sempre un “Gagà che aveva detto agli amici…”, idealtipo di un’autobiografia della nazione piccolo borghese e perbenista, un po’ codarda e un po’ bigotta. È il Gagà che si ribella all’odiata e disillusa mediocrità della vita modesta con il guanto a penzolone, dondolando il bastoncino, bardandosi in abiti a quadrettoni e sparando sbruffonate agli amici pur di ingannare se stesso.
Uno dei suoi palcoscenici privilegiati, era il treno, luogo di fortuiti e brevi incontri, teatro di compiaciute e menzognere narrazioni del sé, come faceva il conte Max arrotando la erre e vantando auguste parentele.

C’è una letteratura “ferroviaria”, mettendo da parte Anna che il treno lo prende ma addosso, fatta della stupefatta contemplazione di quegli intricati grovigli, quei ventagli di binari prima delle stazioni, quell’annodarsi e sciogliersi a comporre losanghe, semicerchi divergendo per tangenti e perdendosi tra sterpi pallidi, steccati, campi ingialliti. Eh si, è il contesto di coincidenze, di appuntamenti, che lo scatto di uno scambio può annullare o deviare verso altri destini. È il luogo simbolico del caso, la geografia del romanzo, l’intreccio dell’incontrarsi o del perdersi. Anche il guardare il paesaggio dal treno ha qualcosa di inquietante: quello spiare rapidamente alberi che sfilano, colline, palazzoni tristi nei quali ci si affaccia, dentro cucine con quelle luci gialle del primo mattino, casette isolate di un plastico del mondo antico, caselli abbandonati. E volete mettere le stazioni, i baci sotto la pensilina, l’ultima sigaretta, gli addii, le tante scale scese e salite, lo sferragliare che rallenta nell’atteso arrivo e romba doloroso alla partenza, rispetto alla virtualizzazione, alla contrazione di spazi, tempi e immaginario dell’aeroporto?

Armati di questo bagaglio letterario, fedeli a questi vari archetipi ma anche in un vertiginoso e spericolato revisionismo del marxismo i comunicatori di Trenitalia ci hanno comunicato che felicemente siamo transitati dalle classi ai livelli, per un viaggio su misura per noi. Freccia Rossa per caso introduce un nuovo sistema sociale declinato su quattro opzioni, Executive, Business, Premium, Standard e su quattro categorie sociali, dal manager allo sfigato. Che come il gagà se non vuole essere condannato a viaggiare per sempre ai livelli minimi di confort deve darsi una bella smossa, per elevarsi via via per aspirare a godere di poltrone più larghe, a farsi servire un pasto semi-immateriale in loco, imbandito sul vassoio e immediatamente avvolto in plastiche asettiche, a alzare le gambe/ reclinare la testa, per raggiungere l’estasi mediante il ricovero nell’area del silenzio, quella risparmiata da fastidiosi cellulari e improvvide conversazioni, quella contrassegnata da una aristocratica e schizzinosa asocialità. Insomma è l’allegoria della scalata secondo il Gagà, quella incardinata sull’aspirazione al privilegio, all’immunità, al monopolio della grazie e del vento in favore. A tutto quello che si può comprare, basta pagare, o ereditare o meritare per appartenenza però, censo, famiglia, cricca, lotteria naturale.

Trenitalia è proprio governativa insomma, nel segno della continuità, che poi a tanta magnificenza non corrispondono le necessarie prestazioni e la doverosa qualità per far circolare gente e merci in condizioni di sicurezza, tempestività, informazione, efficienza. E senza rammentare le performance ridicole durante il grande gelo, invidiose della più funzionale Siberia, senza andare a sfrucugliare su Tav o pendolari come se in un paese civile si fosse costretti a questa scelta, posso assicurarvi per esperienza diretta e di soggetto perfino privilegiato che Trenitalia preferisce la visibilità alla reputazione e la comunicazione alle prestazioni. Nell’attesa delle magnifiche sorti e progressive della saletta Meeting Executive, degli spaziosi sedili Business, delle prodigiose sedie Okamura, se volete collegarvi a Internet in una delle formidabili Frecce contemporanee avrete la inimitabile esperienza di godere del collegamento Passenger, gratuito, esclusivo, innovativo, che vi fa entrare magicamente nel sito Frecciarossa, accedere alle immagini rutilanti della sua opulenza, visitare la composizione dei vassoi Bistrot a disposizione dei più “capienti”, annusare forse l’odore di pelli pregiate delle sedie Okamura.. e basta.

Si perché sfrecciando con Trenitalia sei condannato alla reclusione nella sua pubblicità, non ne esci, nemmeno se ricorri ai tuoi mezzi personali, manager, cyber nativo, festoso fancazzista tutto il giorno su Facebook come diceva il vecchio premier, chiavette, tablet.. niente la rete ti è negata, esattamente come un secondo bicchiere d’acqua dal carrellino di benvenuto, come una toilette funzionante in ogni vagone, come una spiegazione sul perché sei rimasto fermo venti minuti in una plaga innominata tra sperduti casolari, intravisti oltre una siepe di rovi. O come ci è interdetto di sapere per quale motivo la sala comandi di Trenitalia abbia dato l’ordine al personale del treno regionale 8349 sulla tratta Foggia-Bari il 19 febbraio di ripartire, che loro hanno la puntualità nel sangue, senza portare soccorso all’uomo steso privo di sensi sui binari e successivamente identificato in Jillali Motaki, marocchino di 47 anni, privo di permesso di soggiorno, ma incaricato di qualche mansione nella stazione di Barletta, e il cui viaggio si è bruscamente interrotto dopo una lunga agonia.


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