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Trenitalia è il male tris

Creato il 25 febbraio 2012 da Gaia

Ringrazio la mia amica Susanna Bonfanti che, reduce da un viaggio allucinante che doveva portarla a Padova ma, per colpa della mala gestione dei treni, non l’ha fatto, ha accettato di raccontare la sua esperienza sul mio blog. Sottolineo che i trasporti sono un servizio pubblico ed essenziale e che, come vedrete leggendo, in una situazione del genere la gente può farsi molto male.

(Sottolineo anche che i No Tav hanno fatto oggi in Val Susa una manifestazione pacifica, e le pagine dei principali quotidiani li mettono ben lontani dalle prime notizie. 75000 persone pacifiche non interessano)

Il Martedì Grasso ci sono persone che devono prendere un treno regionale in direzione Venezia non per andare a festeggiare il Carnevale, confluendo in quel flusso incontrollato di persone che inonderà le già intasate calli del Lido, ma per raggiungere un’altra meta, con altri scopi: lavorare, presentarsi ad un
appuntamento, frequentare una lezione universitaria. Il Martedì Grasso, chiunque debba prendere un treno in direzione Venezia, chiunque fuorchè forse i dirigenti di Trenitalia, riesce a prevedere che i trasporti saranno eccezionalmente sovraffollati e pianifica strategie per evitare il disagio estremo.
Ecco il resoconto di chi, come per un pessimo scherzo carnevalesco, ha pagato con 20 euro un non-servizio statale, una recitazione di 5 ore come comparsa in quello che sarebbe potuto essere – perché non giro con una telecamera? – un documentario da pelle d’oca su una delle tante, a dir poco imbarazzanti,
realtà “all’italiana”.
Alle ore 8 mi dirigo al binario 6 della Stazione di Udine, pronta a prendere il solito regionale “veloce” che mi porterà a Venezia Mestre e mi permetterà di prendere un secondo regionale diretto a Padova, dove dovrei arrivare 2 ore e mezza dopo, per presentarmi ad un appuntamento nel primo pomeriggio. Le mie preoccupazioni riguardo all’emergenza treni affollati a causa del Carnevale di Venezia sono attenuate dalla sera precedente quando, grazie a quello che credevo essere un colpo di genio – povera illusa -, pianifico con un amico compagno di viaggio di evitare al rientro la folla in maschera aggirando lo snodo di Mestre e prendendo un diretto Padova-Treviso e poi il solito regionale Treviso-Udine. Non avevo immaginato che ci sarebbero state persone con tanto coraggio e tanta determinazione da presentarsi in stazione già alle 8 di
mattina, vestite in maschera, armate di macchine fotografiche, pranzo e bibite al sacco. Che ingenuità la mia. Il binario è così pieno di comitive da festa che i pendolari sembrano spariti, eppure ci sono e, scommetto, come me, sono in preda alle più pessimistiche previsioni. La fiducia nel buon senso dei dirigenti
di Trenitalia, fondata sulla scoperta, fatta il giorno prima, che in occasione del Carnevale sarebbero state aggiunte corse di treni straordinarie, viene totalmente a mancare all’arrivo del treno RV 2449: oggi, in via del tutto eccezionale, è stato RIDOTTO di 2 carrozze. L’imbarazzo e la frustrazione sfogano in una risata isterica. Per necessità ancor più che per rappresaglia, salgo in 1a classe nonostante io abbia un biglietto di 2a. Le fermate del treno diventano un incubo crescente: già a Pordenone il treno è saturo e i viaggiatori
salgono ormai con la sola speranza di trovare almeno uno spazio vivibile in piedi nei corridoi. Il clima nella carrozza si surriscalda, in tutti i sensi: i pendolari cominciano a spazientirsi e a lamentarsi, temendo di non
riuscire a scendere alla propria stazione d’arrivo, qualche giovane cede il posto agli anziani in piedi, adolescenti spensierati ed euforici per quello che li aspetta a Venezia urlano e si divertono ad immortalare con fotocamere e videofonini il loro viaggio della speranza, qualcuno tenta di aprire il finestrino ed è subito
rimproverato da chi riceve lo spiffero addosso… Il carro bestiame arriva così alla stazione di Sacile, accolto su un binario carico di aspiranti viaggiatori che si dividono correndo in direzione delle porte del treno. Mi chiedo come faranno a salire se, all’apertura delle porte, si troveranno davanti un muro di persone
ammassate e immagino di vederle rimanere a terra e rinunciare alla gita… e invece no, mentre lo spazio nel corridoio attorno a me si comprime ulteriormente, mi sporgo dal finestrino per assistere alla scena: c’è chi
urla «spingi! dai! devo salire!», c’è chi corre da una porta all’altra, per valutare quale sia la mischia meno fitta in cui infilarsi e il capotreno, che ormai ha perso ogni controllo e autorità sui passeggeri, fischia all’impazzata andando su e giù per la banchina. Continuo a chiedermi come si possa essere disposti a
viaggiare in queste condizioni, facendosi comprimere sottovuoto… per andare al Carnevale di Venezia.
Continuo a pensare che non siamo nemmeno arrivati a Conegliano e a Treviso, stazioni in cui quel treno, che prendo abitualmente, raccoglie il grosso dei passeggeri ed entro in riserva di sopportazione psicologica, io che con i luoghi chiusi ed affollati non vado molto d’accordo. Comincio a mettere a fuoco che il disagio maggiore nelle stazioni successive non sarà tanto l’aumento dei passeggeri (si riuscirebbe ad entrare nel treno solo tentando un disperato crowd surfing) ma l’impossibilità di scendere per chi è giunto a destinazione. E infatti a Conegliano scoppia il panico: sul binario c’è chi implora di salire mentre nel treno c’è chi implora di scendere, ma ormai la congestione impedisce praticamente qualsiasi possibilità di movimento, se si escludono i finestrini come vie di fuga. Miracolosamente le porte del treno riescono a
chiudersi ancora una volta e il treno, che sempre di più fa pensare alle deportazioni e a quei mezzi pubblici dei paesi del quarto mondo, ormai impressi nell’immaginario collettivo, procede verso Treviso. Raggiunta la
stazione il dramma di Conegliano si ripresenta e si aggiunge l’ennesima, beffarda, complicazione: «Din don! si avvisano i gentili viaggiatori che, causa investimento di una persona presso la stazione di Mestre e conseguente intervento della polizia giudiziaria, il treno subirà un ritardo di durata imprecisata». Un boato di rabbia sfiata dal treno ma poi – non me ne capacito – nessuno si muove. Neanche l’ipotesi di restare imbalsamati su un treno bloccato per tempo indeterminato riesce a convincere i più a spostarsi da quella
sofferta conquista di uno spazio di tortura, neanche per far scendere chi deve, o chi, come me, è allo stremo e ha deciso di arrendersi e cercare un’alternativa di viaggio dignitosa. In condizioni di inciviltà, è facile che le maniere civili e pacate vengano a mancare e così mi ritrovo a guardare con aria di sfida chi ho
di fronte, ad inveire perché mi si faccia scendere e a forzare l’uscita a furia di spintoni e spallate. Assieme ad una ragazza conosciuta in treno, anche lei diretta a Padova, mi dirigo verso i tabelloni delle partenze pregando di trovare, così come previsto per il ritorno, un diretto Treviso-Padova. Sono quasi le 10, il primo diretto disponibile è alle 15.12, troppo tardi, il treno successivo verso Mestre è alle 11, ma chissà quanto carico avrà e chissà cosa succederà se tutta la gente del treno che ho appena lasciato dovesse travasarvisi dentro. Ci spostiamo in autostazione e cerchiamo una corriera sostitutiva; siamo in fila alle biglietterie della stazione delle corriere quando ricevo un messaggio da un amico che mi avverte che il treno davanti al nostro, su cui sta viaggiando, è riuscito a ripartire da Mogliano Veneto. Quindi ci ricatapultiamo in stazione
e torniamo al binario, ma lo spettacolo è desolante: il treno è messo peggio di come l’avevamo lasciato, praticamente nessuno si è mosso se non verso l’interno, spinto da nuovi passeggeri che sono riusciti ad infilarsi nelle porte. C’è qualcuno che ancora ci prova, cercando di aprirsi un varco, brutalmente, usando il trolley come ariete. Ancor più sconfortante è vedere il binario battuto da ben 5 poliziotti che, con aria persa, bighellonano avanti e indietro senza sapere cosa fare e cosa dire, a parte consigliare banalmente di aspettare il treno successivo. Quando chiediamo loro di intimare le persone sul treno di spostarsi quanto più al centro dei vagoni, per permettere almeno di decongestionare gli spazi alle entrate, uno alza le braccia verso il treno e sbuffa «questa è l’Italia!», un altro, seccato, risponde «un treno in queste condizioni non dovrebbe nemmeno partire!». E questi sarebbero i pubblici ufficiali? Se non sono in grado di intervenire a cosa servono, cosa stanno lì a fare? In cinque!
I fischi isterici del capotreno segnalano la partenza imminente del convoglio e i temerari in bilico sui gradini trascinano verso di sé quelle porte che altrimenti da sole, per questioni di sicurezza, non si chiuderebbero nemmeno. La pentola a pressione è sigillata, può partire. Il treno si allontana e io resto incredula, confusa, nauseata. Il terrore di affrontare i treni successivi e soprattutto, dopo una giornata passata a scorrazzare per Padova tra una sede universitaria e l’altra, di affrontare il bis del ritorno supera di gran lunga il dispiacere di sprecare i soldi del biglietto e decido di tornare indietro, maledicendo Trenitalia e il Carnevale di Venezia. Salgo quindi sul primo regionale che viaggia in direzione opposta, verso Udine: ironia della sorte, è vuoto e più lungo di almeno un paio di carrozze. Su quel treno non faccio altro che ripensare a
quanto di più inimmaginabile, illegale ed inaccettabile io abbia appena vissuto, coltivando rabbia per l’impotenza di azione e ribellione, per l’impossibilità di un risarcimento, non quello che si ottiene con la restituzione di soldi, ma quello che si ottiene quando i responsabili si assumono le proprie responsabilità,
pagando per i propri errori, e quando ciò che è sbagliato viene corretto. Nel pieno di queste riflessioni ricevo un messaggio da quel mio amico che viaggiava davanti a me: «sono a mestre, ho visto arrivare il tuo treno… mamma mia. al ritorno prendo una freccia e vaff**». Forse chiunque sarebbe stato disposto a
pagare 20 euro in più per evitare un disagio simile.*
Ritornata al punto di partenza, la stazione di Udine, non resisto e, con tanta indignazione quanta disillusione, entro nel centro assistenza clienti, non per prendermela con il primo dipendente di turno, estraneo ai fatti e senza colpa, ma per almeno testimoniare la gravità dell’evento. «Signorina, sappiamo
quello che è successo, ma vede, le cause del disagio non sono imputabili a Trenitalia, una persona si è suicidata a Mestre e per questo c’è stato il ritardo…» (come se il problema fosse stato il ritardo).
Provocatoriamente, gli chiedo se anche il fatto che oggi, Martedì Grasso, il treno diretto a Venezia avesse due carrozze in meno fosse un fatto non imputabile a Trenitalia. «Se la può consolare, le posso dire che noi
sappiamo già che alle 15 partirà per Venezia un treno che, per legge, non potrebbe muoversi perché è stato completamente imbrattato all’interno da vandali… partirà perché non abbiamo altri mezzi.».
Se la può consolare??

* Che è forse esattamente quello che vogliono ottenere torturando chi prende i regionali, n.d.r.


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