Il 15 novembre prossimo si compirà il 30° anniversario della proclamazione della Repubblica Turca di Cipro del Nord, nella pienezza e indipendenza delle sue funzioni giuridiche e politiche; proclamazione di indipendenza unanimemente votata il 15 novembre 1983 dal Parlamento turco-cipriota, espressione della libera volontà popolare della Comunità turca di Cipro.
Si tratta di una circostanza (che è un fatto, non una opinione) che dovrebbe indurre a riflettere essenzialmente e preliminarmente su due punti: il primo è che l’esistenza dello Stato turco-cipriota non può essere negata perché diversamente significherebbe negare la realtà (per finalità politiche di illecita sopraffazione) e che da ciò deriva come diretto corollario che rispetto alla “questione cipriota” non c’é da ricercare ancora una soluzione. La soluzione è stata adottata, come detto, il 15 novembre 1983, e dopo ormai trent’anni tale soluzione si è consolidata e non può essere messa in discussione. Al più potrà porsi il problema di ricercare una diversa soluzione per la cosiddetta “questione cipriota”, quale potrebbe essere quella di uno Stato federale fortemente decentrato e con competenze centrali relative alle sole politiche coessenziali alla statualità (monetaria, estera, di difesa).
Tale soluzione fu proposta con il famoso piano Annan che presupponendo correttamente l’esistenza di una piena e legittima statualità turco-cipriota nell’Isola, sottoposto a referendum fu approvato a larghissima maggioranza dalla Comunità turco-cipriota, ma respinto con pari larghissima maggioranza dalla Comunità greco-cipriota.
La verità, che pur si tace, è che i greco-ciprioti pretendono di trattare – se pur con larghezza – la Comunità turco-cipriota dell’Isola come minoranza. Al contrario la Comunità turco-cipriota deve essere intesa come componente politicamente, storicamente e giuridicamente pari (anche se non numericamente) alla Comunità greco-cipriota; in altri termini, come Comunità cofondatrice della Repubblica di Cipro creata con l’Accordo tripartito anglo-greco-turco di Zurigo del 1960 che, ponendo fine al dominio coloniale inglese (rimangono tuttavia sull’Isola ancora oggi due munite basi militari britanniche), riconosceva alla Comunità turco-cipriota dell’Isola parità politica, storica e giuridica rispetto alla Comunità greco-cipriota, creando la Repubblica unitaria di Cipro su base bi-comunitaria e bi-zonale.
L’altro aspetto sul quale occorre riflettere nell’occasione del trentesimo anniversario della creazione della Repubblica Turca di Cipro del Nord, è che, appunto, da trent’anni sull’Isola sono cessate le violenze e i massacri greco-ciprioti in danno dei turco-ciprioti. E questo non pare un risultato da poco, il cui merito va ascritto al pur tardivo (se fosse avvenuto prima, si sarebbero risparmiate molte altre vite umane) intervento militare turco del 20 luglio e 8 agosto 1974, deciso per la deliberata inerzia delle Autorità britanniche inutilmente sollecitate dal Governo di Ankara, che pure avevano il dovere di intervenire a difesa dell’ordine costituzionale di Cipro e dell’integrità fisica delle persone come previsto dall’art. 14 del Trattato di garanzia del 1960 che in tal senso facoltizzava le tre Potenze garanti: non intervenne il Governo di Atene la cui allora Giunta militare aveva proprio essa scatenato il colpo di Stato del 5 luglio 1974 ponendo a Capo dello Stato il famigerato Nikos Sampson, ricercato per pluriomicidi; non intervenne il Governo di Londra per evidente opportunismo politico; non poteva che intervenire, dunque, il Governo di Ankara. L’intervento di questo fu qualificato come legittimo con Risoluzione del 26 luglio 1974 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
Si è detto che cessarono i massacri scatenati dalle Forze armate greche e greco- cipriote e dalle forze terroristiche greche dell’EOKA e, poi, EOKA bis. Azioni finalizzate alla realizzazione della megali idea dell’enosis, cioè l’annessione dell’Isola di Cipro alla Grecia. Esattamente come i greci fecero a Creta nel 1904, dove la maggioritaria popolazione turca fu interamente sterminata o costretta per il terrore a fuggire in Turchia e in altri luoghi.
Ora, da parte greca, oltre alla abnorme pretesa di trattare la Comunità turco-cipriota come minoranza, si pretende anche di porre termine alla Garanzia militare del Governo di Ankara: ciò senza offrire alcuna credibile garanzia circa il non ripetersi del tentativo di soluzione cretese a Cipro.
Da parte greca si fa valere l’eccessiva presenza militare turca a Cipro in funzione di garante della integrità e della indipendenza dello Stato, oltre che della integrità fisica degli abitanti turchi e turco-ciprioti, ma non si dice che quanto alla sua politica difensiva (che nel passato è stata ben chiaramente aggressiva) le Autorità greco-cipriote seguono il modello elvetico e cioè dopo il normale servizio militare le persone vengono congedate temporaneamente con facoltà di portare con sé le armi, con successivi e ripetuti richiami per addestramento e aggiornamento nell’uso delle nuove armi con la conseguenza che oggi, come ieri e in qualsiasi momento, le Autorità greco-cipriote possono mettere in campo circa 92 mila soldati ready combat!
La legittimità dell’esistenza della indipendente Repubblica Turca di Cipro del Nord trova il suo fondamento anche nella pertinente Risoluzione della Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa che afferma la legittimità dell’autodeterminazione dei popoli e del suo eventuale successivo e conclusivo atto di secessione, sulla base della verificata situazione che vede una etnia presente sul territorio e nel quadro di uno Stato unitario non pienamente partecipe della vita politica, democratica ed amministrativa dello Stato stesso. E tale era la situazione della Comunità turco-cipriota sull’Isola quando fu proclamata la Repubblica Turca di Cipro del Nord. Con l’aggravante specifica, nel caso di Cipro, di una preordinata, deliberata e violenta esclusione fin dai primissimi anni ’60 della Comunità turco-cipriota da ogni partecipazione politica e amministrativa alla vita dello Stato; così come specificamente disponeva la Costituzione di Cipro del 1960. Non può, quindi, dubitarsi del legittimo esercizio dello ius secessionis da parte della Comunità turca di Cipro.
La vicenda del Kosovo è emblematica in tal senso. Quel che è singolare, però, è che mentre una numerosa pluralità di Stati ha “riconosciuto” il nuovo Stato kosovaro anche a seguito del molto discutibile parere reso il 22 luglio 2010 dalla Corte Internazionale di Giustizia, così riconoscendo legittima la secessione del Kosovo dalla Serbia, la Comunità internazionale, in ciò sollecitata fin dall’inizio dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non “riconosce” lo Stato turco-cipriota che ha rapporti diplomatici con la Turchia e altri Stati ed ha relazioni economiche, commerciali e culturali con molti Stati (l’Italia è il suo quarto partner commerciale), oltre ad essere Stato membro della Conferenza Internazionale Islamica.
Si tratta di due evidenti situazioni dispari e tale disparità è la evidente conseguenza delle convenienze o delle sconvenienze politiche che finiscono con il prevalere sulla regola giuridica, sulla logica, sul buon senso e soprattutto su di un parametro pur minimo di giustizia quanto meno in termini, appunto, di parità di trattamento.
Della irrilevanza di qualsiasi atto di “riconoscimento” che si pretende giuridicamente necessario a fini “costitutivi” e/o “dichiarativi” dell’esistenza dello Stato, non sembra proprio il caso di parlarne per non riesumare antiche memorie tardo-medioevali da Respublica Christiana (oggi forse sostituita proprio dall’ONU in quella sua specifica funzione prevaricatrice).
Lo Stato turco-cipriota esiste e vive nella sua soggettività giuridica, nella sua sovranità politica e nella sua indipendenza esterna non già perché “riconosciuto”, ma in quanto Ente capace di realizzare, attraverso le sue Istituzioni politiche e democratiche, una effettiva ed esclusiva capacità di governo e di controllo del suo territorio definito da frontiere politiche certe e militarmente garantite. Si tratta di uno Stato che vive in quanto Ente collettivo politico capace di “azionare” l’ordinamento giuridico internazionale perché direttamente titolare di diritti e destinatario di obblighi; in quanto Ente collettivo politico di forma e contenuto statuale, le norme del suo ordinamento giuridico entrano inevitabilmente in gioco nel sistema e secondo le regole del diritto internazionale privato per quel che riguarda i rapporti inter-soggettivi tra persone fisiche e giuridiche.
Si dice che i greco-ciprioti furono cacciati dai turchi e costretti a trovare rifugio nel sud dell’Isola, ma non si dice che la divisione dell’Isola in due realtà territoriali ed etniche si era determinata per effetto dell’Accordo di Vienna del 1975 intervenuto tra il Presidente turco-cipriota Rauf R. Denktas e l’Arcivescovo (Dio ci perdoni) Makarios, con il patrocinio delle Nazioni Unite, e relativo alla separazione delle due Comunità con il volontario spostamento dei greci al sud e dei turchi al nord; e ciò a seguito del ricordato e doveroso intervento militare turco che oggi verrebbe chiamato certamente “intervento umanitario”. Ma questo per i turchi … non vale perché nel profondo della subcultura largamente diffusa permane ancora l’immagine del turco con la scimitarra in mano o il ricordo delle scorrerie dei Saraceni (che turchi non erano), o ancora il ricordo del trattamento riservato a Marcantonio Bragadin. Anche se da quei fatti di Famagosta sono passati più di cinquecento anni. Specularmente ci si potrebbe chiedere, come fece Indro Montanelli: quanto ancora dobbiamo sopportare dai Greci dopo tremila anni per un Socrate o un Platone?! ….
E’ questa subcultura che tende ad addebitare ogni responsabilità e ogni eccidio ai turchi tanto da accusarli, in occasione dell’intervento militare del 20 luglio 1974, di “crimini di guerra e contro l’umanità”. Qui davvero è il “bue che dice cornuto all’asino” con una affermazione tanto priva di ogni pur minimo riscontro, quanto mai prima osata pronunciare. Si accusano i turchi anche di uso di esplosivi al napalm contro la popolazione inerme ed altre nefandezze, ma al di la della menzogna non si ricorda, tra i tanti analoghi casi, il consapevole sacrificio del Cap. Pilota Ercan (dal quale prende il nome l’Aeroporto internazionale della Repubblica Turca di Cipro del Nord) il quale, colpito dalla contraerea greca, per evitare che l’aereo precipitasse su di un centro abitato proprio da greco-ciprioti, continuò a condurre l’aereo per portarlo in zona disabitata e morendo nello schianto.
L’aspetto paradossale della “questione cipriota” consiste, poi, nel fatto che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ritiene ancora in vigore la Costituzione del 1960 dell’allora Stato unitario bi-zonale e bi-comunitario cipriota che all’art. 111 preclude l’adesione di Cipro a qualsiasi Organizzazione internazionale della quale già non facciano parte i due Stati di “riferimento”, e cioè la Grecia e la Turchia; con conseguente e radicale illegittimità della adesione di Cipro all’Unione europea, salvo che, come è ovvio, non si capisca che l’adesione all’Unione europea ha riguardato e riguarda soltanto la Repubblica greco-cipriota; circostanza questa confermata dal fatto che gli obblighi discendenti da tale adesione e la relativa normativa dell’Unione europea non trovano e non possono trovare alcuna applicazione ed efficacia nell’ambito territoriale di pertinenza dello Stato turco-cipriota.
Se, poi, si volesse ritenere che la Costituzione del 1960 non è più la Costituzione di Cipro poiché “superata” dagli eventi politici che hanno caratterizzato la complessiva vicenda, non si capisce la ragione per la quale debba venire in linea di conto la sola successiva Costituzione greco-cipriota che in alcun modo può riguardare e vincolare la Comunità turco-cipriota alla cui elaborazione e votazione essa non ha mai partecipato. Tale Costituzione riguarda solo la Repubblica greco-cipriota, con la ulteriore ed inevitabile conseguenza di prendere atto e “riconoscere” anche l’esistenza, la legittimità e l’effettività dello Stato turco-cipriota. Profili, questi, in alcun modo “travolti” dalla “sentenza” del 21 marzo 2011 della Corte europea di Strasburgo, resa nel caso “Loizidou” che evocò in giudizio il Governo turco di Ankara per pretesa violazione del diritto alla tutela dei suoi beni. La Corte di Strasburgo con questa sua pronuncia palesemente politica ritenne fondata la legittimazione passiva dello Stato turco e correlativamente intese come inesistente la Repubblica Turca di Cipro del Nord (ritenuto uno “Stato fantoccio”) per il solo fatto – di per sé inespressivo – della presenza, per esigenze difensive, di contingenti militari turchi sull’Isola.
Si dice, poi, che a Nicosia/Lefkosa permane l’unico “muro” in Europa dopo la caduta di quello di Berlino. Chi si lamenta di questo è evidentemente afflitto da sindromi murarie, poiché non distingue tra funzione e funzione che può essere rappresentata da un muro o da qualsiasi altro strumento di divisione. Non è accettabile un muro come quello di Berlino che divideva un popolo, una lingua, un comune sentire, una comune tradizione e un comune territorio. Al contrario, è moralmente, oltre che politicamente, da difendere ogni altro muro, come quello di Nicosia/Lefkosa, che divide due popoli differenti per lingua, tradizioni, storia, religione, costumi e aspirazioni, e che garantisce attraverso l’effetto separatorio che non si ripetano ulteriori violenze e massacri.
Da ultimo si fa valere anche (a titolo di ulteriore responsabilità dei turchi) che la Comunità turca di Cipro ha un tenore di vita, di sviluppo e di crescita ben inferiore a quello della Comunità greca dell’Isola. Anche a tale riguardo si dice solo una parte della verità e si sottace l’altra e che cioè i responsabili di tale situazione (vera fino ad un certo punto perché il tenore di vita e il tasso di sviluppo nella Repubblica Turca di Cipro del Nord é in costante crescita) sono – e da sempre – le Autorità greche e greco-cipriote che strangolano la Comunità turca dell’Isola attraverso le peggiori forme di embargo, di sabotaggio economico e di ostacolo allo svolgimento di liberi commerci.
Basti ricordare due circostanze: una relativa all’inizio della “questione cipriota” quando le Autorità greche e greco-cipriote impedivano alla Croce Rossa Internazionale di fornire bende e garze ai turco-ciprioti massacrati in quanto ciò era ritenuto “materiale bellico strategico”; l’altra (tra le tante) ancora presente e che vede l’impossibilità di collegamenti aerei e marittimi diretti della Repubblica Turca di Cipro del Nord con molti Stati a causa dell’embargo e del sabotaggio greco e greco-cipriota. Sabotaggio del quale è complice consapevole la Comunità internazionale la quale, non riconoscendo i passaporti turco-ciprioti, pretenderebbe di fare del territorio a nord dell’Isola di Cipro una specie di gigantesco campo di concentramento a cielo aperto.
A ciò cerca di supplire il Governo di Ankara che munisce della sua bandiera gli aeromobili e le navi turco-cipriote, come munisce del suo passaporto i cittadini turco-ciprioti. E anche questo è preso a pretesto per denunciare asserite interferenze turche a Cipro del Nord, e per affermare falsamente, come ha fatto la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che la Repubblica Turca di Cipro del Nord sia uno “Stato fantoccio” in quanto propaggine del potere statuale turco di Ankara.
*Augusto Sinagra, professore Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università “Sapienza” – Roma
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