Magazine Lavoro
C'è un altro aspetto della complessa attività di Trentin che meriterebbe di essere ricordato e che investe la sua attività nel campo europeo. Un contributo importante viene ora da un libro (edizioni Ediesse) curato da Sante Cruciani: "La sinistra europea e la sfida dell'Europa politica. Bruno Trentin al parlamento europeo". Come spiega Iginio Ariemma nell'introduzione il volume contiene gli interventi al Parlamento europeo (dal 1999 al 2004); una selezione di scritti, saggi, interviste; i contributi scaturiti da una tavola rotonda promossa dalla Fondazione Giuseppe di Vittorio e dal Gruppo dei Socialisti tenutasi a Bruxelles nel febbraio di quest'anno; i documenti elaborati dalla Commissione progetto dei Democratici di Sinistra, di cui era presidente; i documenti prodotti dal "Gruppo Spinelli"; le testimonianze di Pasqualina Napoletano, Elena Paciotti, Andrea Cozzolino.
C'è un filo conduttore in questo vasto materiale che immediatamente si collega alle aspre discussioni di questi nostri giorni: l'impegno a dare un ruolo decisivo all'Unione Europea nel campo economico e sociale. Ruolo finora mancato o affidato episodicamente al capo della banca europea Trichet o alle sortite televisive di Merkel-Sarkozy. L'obiettivo che emerge negli scritti di Trentin, sottolinea Sante Cruciani è quello di rendere l’Unione europea capace di "divenire un grande soggetto riformatore nei confronti dei processi di globalizzazione selvaggia".
Una testimonianza interessante viene da Robert Gobbels coordinatore al Parlamento europeo, che, intervenendo nella tavola rotonda a Bruxelles, sottolinea come Trentin avesse "già percepito la crisi economica alle soglie dell’Unione Europea". Ricorda come dicesse: "Penso innanzitutto alla necessità di far fronte al rallentamento della crescita economica attraverso un coordinamento ugualmente anticiclico delle politiche economiche e
sociali. Un coordinamento che porti, attraverso misure di cooperazione rafforzata tra membri della zona euro, a una vera e propria gestione concertata dell’unione monetaria". Gobbels racconta anche un aneddoto: "Un giorno per il gruppo socialista avevo ottenuto la relazione sull’entrata della Grecia nell’euro, e mi sono detto che sarebbe stato un incarico da affidare a Bruno. Gli ho detto: Bruno, ma ti interessa?, e lui mi ha guardato con questi occhi celesti insondabili e mi ha detto semplicemente: No. E poi, dopo qualche mese, mi sono chiesto se già non avesse dei dubbi relativamente alla situazione economica della Grecia".
È incessante, nelle riflessioni trentiniane, l'idea di un progetto sociale che debba accompagnare la costruzione europea. Osserva in un convegno del Centro di riforma dello Stato nel 2000: "Quale Europa riusciremo mai a costruire senza un progetto di società che si affermi nella maggioranza dei cittadini, che parli alla società civile, che riesca a farsi intendere anche attraverso il confronto?". E in una intervista a "Quale Stato?" così risponde a Sandro Morelli: "Probabilmente arriveremo all’imposta Tobin. Tutte le misure che possono disincentivare almeno gli spostamenti a breve, a brevissimo termine dei capitali sono scelte positive. Ma c’è un problema tutto politico da risolvere: queste misure non possono che essere adottate da un’istituzione in grado di deliberare a livello europeo... Il che vuol dire non soltanto creare un fondo comunitario ma coordinare le politiche economiche dei singoli governi. Vuol dire subordinare, in ogni singolo paese, il finanziamento e l’incentivazione alla creazione di progetti europei..".
C'è nel volume di Cruciani, naturalmente, anche una rievocazione della personalità di Trentin "sindacalista". Così Susanna Camusso rievoca l'autunno caldo: "Credo che sia stato in quella stagione, per quello che abbiamo visto e capito noi, allora giovani, che ha preso vita davvero una grande idea. I dirigenti di questa fase, che noi chiamavamo familiarmente TBC, erano Trentin, Benvenuto, Carniti. Quello era il gruppo dirigente, un grande riferimento. C’era allora la traduzione, nella categoria, di una declinazione del concetto di libertà nella vita sindacale e soprattutto nella contrattazione sindacale che mi ha colpito molto e che ho rincontrato in Bruno segretario generale della CGIL. Credo che Bruno abbia sempre pensato e abbia sempre agito con l’idea che, perché le persone siano libere, devono avere coscienza e valore di sé, e che spesso, nel lavoro e nell’organizzazione delle imprese, non era così banale e semplice avere valore di sé e coscienza di sé".
Era l'ispirazione libertaria, socialista, che animava il ragazzo già partigiano con Giustizia e Libertà. Ha scritto Ariemma: "Trentin non rinunciò mai alla prospettiva socialista. Non gli interessava il nome e neppure la forma organizzativa, ma l’ispirazione e soprattutto il progetto che doveva avere come finalità non il socialismo di Stato, che inevitabilmente diviene autoritario, illiberale, antidemocratico, ma un socialismo dal basso, di tipo libertario, che ha al centro il lavoro come fattore primario della libertà eguale, dello sviluppo sociale ed anche personale e della convivenza civile e democratica. Egli era convinto che le ragioni dell’equità non possono essere tutelate soltanto a valle, correggendo le distorsioni del mercato, ma devono operare a monte in modo connaturato al processo produttivo di costruzione della ricchezza e dell’accumulazione e dunque all’economia di impresa". Non sono forse argomenti che parlano anche all'oggi?
UNA BATTAGLIA DI LIBERTÀ
Dall'intervento di Bruno Trentin al II Congresso nazionale dei Democratici di Sinistra. Pesaro, 16-18 novembre 2001
Il ruolo che assume, oggi più di ieri – su questo punto bisogna essere chiari – la lotta per difendere l’articolo 18 sui licenziamenti individuali, in una strategia dell’occupazione, del miglioramento della qualità del lavoro, del controllo sull’organizzazione del lavoro e del tempo, non può essere quello di limitarsi alla difesa dei cosiddetti garantiti. No, si tratta di garantire la certezza del contratto, prima di tutto, particolarmente nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, a part time e della massa dei lavoratori parasubordinati o semi-autonomi senza sicurezza sociale.
Questo afferma la carta europea dei diritti fondamentali: per impedire che la sorte delle persone, in un mercato del lavoro sempre più diversificato, sia consegnata, in assenza di colpe gravi e con una piccola multa, alla discrezionalità o agli umori antisindacali degli imprenditori. Una grande battaglia di libertà, dunque, che costituisce a mio avviso, un’altra faccia della nostra battaglia per conquistare pienamente in questo paese uno stato di diritto che altri vogliono insidiare dalle fondamenta. Su questi obiettivi, concreti: sul diritto alla formazione permanente, all’informazione, alla certezza del contratto e su quello della conquista di un diritto alla rappresentanza dei lavoratori, che consenta anche qui di ridare certezza alla contrattazione collettiva, la sinistra italiana ed il sindacato potranno riconquistare i suoi titoli di nobiltà.
Lo sciopero dei metalmeccanici e la grande manifestazione di Roma hanno un senso se costituiranno una tappa verso la ricostruzione di un grande fronte unito che espanda le frontiere sulla libertà anche nei luoghi di lavoro. La risposta delle tre confederazioni all’attacco all’articolo 18 dimostra che ne esistono le condizioni. Assumere questi obiettivi come alcune delle priorità ineludibili di una forza riformatrice con ambizioni europee, può sembrare ad alcuni un possibile elenco della spesa da fare valere come accessorio in un generico programma da dimenticare il giorno dopo, come sino ad ora è stato.E quindi, si pensa a queste o ad altre scelte progettuali che dovremo cercare di costruire insieme, come qualcosa di utile, certo, ma che è altro dalla grande politica, dal dibattito sul futuro dell’Ulivo, sul futuro della sinistra italiana come parte del movimento socialista europeo, sul tipo di unità da costruire nel nostro partito, superando ogni patriottismo di correnti e di cordate, sul dibattito aspro che divide, in questi mesi, il movimento sindacale italiano.
Ma non è così. L’esperienza ci ha dimostrato in abbondanza, che se un movimento, un’alleanza, una coalizione rimane ferma nella difesa delle proprie conquiste e delle proprie identità, contro chi intende cancellare con una precisa strategia politica; se un’alleanza o un partito o un sindacato si arroccano sulla difensiva, dedicandosi, nello stesso tempo, alla difficile impresa della salvaguardia degli equilibri interni, della difesa di vecchie regole consociative di direzione, la divisione è alle porte. E ci sarà sempre la divisione fra chi pensa di potere concedere di più all’avversario per non farsi isolare e chi pensa, che non ci sia salvezza fuori dalla difesa intransigente
dell’esistente.
Una lunga e difficile storia ci ha, invece, dimostrato che le alleanze, le coalizioni e la stessa unità di un partito o l’unità di un movimento sindacale o lo stesso dialogo con un movimento complesso come i no global o i new global come speriamo si costruiscono giorno per giorno intorno ad un progetto, al dibattito trasparente che può nascere da una proposta di cambiamento che rifiuti di annegare sul mito poco riformista della governabilità.
E qui scontiamo ancora il limite e l’anomalia della cultura politica di molta parte della sinistra italiana. La debolezza o l’uso pienamente strumentale di una cultura del progetto. Dividendoci, e se occorre nella fase di costruzione
di un progetto, aprendo il confronto fuori dalle nostre file, senza alcuna logica di potenza o tentazioni egemoniche, saremo molto più vicini ad una unità e ad una solidarietà fra diversi ad un partito pluralista e culturalmente autonomo, capace di dialogare senza arroganze e senza mimetismi con le forze della società civile. Lì, dove avvengono i cambiamenti più profondi di un paese e di un popolo, lì dove maturano problemi che attendono dalla politica progettuale e non dal piccolo cabotaggio più o meno corporativo, una risposta e una soluzione.
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