Un approfondimento di Noir Italiano, con la partecipazione di Loriano Macchiavelli
Per Sarti Antonio la serialità è nata dalla mia simpatia per il personaggio e non era stata programmata nel momento di preparazione del romanzo, per il già citato Poli Ugo, la serialità era stata programmata, tant’è che ho pubblicato almeno tre romanzi con lo stesso Archivista. L’ironia del destino (che è sempre pronto a beffarsi di noi) ha voluto che per Poli Ugo non ci fosse futuro. Mi dispiace perché era un personaggio nel quale credevo. Ripensandoci oggi, ritengo di non averlo proposto ai lettori nel momento favorevole a quel tipo di personaggio. “Troppo fascista” mi disse l’editor della Garzanti quando mi consigliò di lasciarlo al suo destino. Ancora oggi sono convinto che non fosse così. Era semplicemente un uomo frustrato, arrabbiato con il mondo che gli stava attorno e che gliene aveva fatte d’ogni sorta. Arrabbiato come dovremmo essere arrabbiati tutti noi. Oggi Poli Ugo, sono certo, sarebbe ben accolto dai lettori. Ma lasciamolo nel limbo che si è scelto.
Esiste però anche l’altra faccia della luna (per citare gli amati Pink Floyd). I personaggi seriali stancano. Ci sono romanzi che sembrano copie di quelli precedenti, nei quali l’autore fatica a trovare nuove idee e da l’impressione di sentirsi intrappolato nella stessa maschera che ha creato. Inoltre una questione importante (lo è perché in Italia la
denigrazione è una sorta di sport nazionale): un personaggio seriale, quando incontra il favore di pubblico e s’illumina delle “luci della ribalta” letteraria, diviene inviso alla critica. Sia quella giornalistica, i blog o anche gli stessi lettori. Riprendendo l’esempio di Macchiavelli, Sarti Antonio era diventato patetico (sempre secondo la critica). Troppi caffè, la colite perenne, Raimondi Cesare che si vantava di successi immeritati, Rosas che sapeva sempre cavare dai guai il nostro questurino. Aggiungiamoci la relazione con una prostituta come la Biondina e il gioco è fatto: Sarti Antonio è noioso, ripetitivo, stanco. Pensate che un critico, recensendo il romanzo nel quale Sarti Antonio muore, ha scritto: “Il sergente colitico Antonio Sarti finalmente sparisce, muore ammazzato all’ultima pagina, e con lui speriamo spariscano anche gli altri piccoli attori che lo circondano (…) nel teatrino delle solite commedie provinciali”.
La cosa ridicola in tutta questa storia è che la critica pungente, astiosa e cattiva riportata sopra, è venuta da un
personaggio (storico e critico d’arte figurativa, oltre che grande esperto di letteratura e consulente editoriale; a lui si deve l’arrivo in Italia di alcuni famosi personaggi polizieschi stranieri) al quale volevo molto bene e che è stato il padrino (non nel significato di mafioso) di Sarti Antonio, sergente, per averlo sostenuto quando ancora era nel manoscritto. Ancora oggi non ho capito cosa lo abbia spinto a quelle cattiverie. O meglio, un’ipotesi l’avrei, ma la tengo per me. Fra l’altro, la speranza che Sarti Antonio e gli altri piccoli attori nel teatrino delle solite commedie provinciali sparissero, non si è avverata. La verità sul tentativo di uccidere Sarti Antonio, sergente? Il desiderio di dimostrare che ero capace di sopravvivere (letterariamente) anche senza di lui; la voglia di scrivere altro; la rabbia nel sentire l’editor chiedermi continuamente “mettici Sarti Antonio”, come se non sapessi scrivere altro.
poliziesco ambientato in Italia e ai romanzi di Macchiavelli, alla loro freschezza e ai tanti caffè bevuti dal questurino. Guarda caso due personaggi seriali.
Loriano Macchiavelli e Omar Gatti