E’ la frase prununciata dal potere dominante quando perde le parole del confronto e non sa più che dire. E si rifuggia, così, dietro il paravento subdolo della minaccia. La proposizione, secondo la Corte di Cassazione, configura un reato (sentenza numero 11621 del 2012).
Si tratta di una performance linguistica infelice, davvero triste, segno di debolezza e mancanza di lucide risorse argomentative. “Tu non sai chi sono io…”, lo dice il padrone, il politico, il re della savana. A sentirli, basta metterci un po’ di ironia, e scoppiare a ridere… Cos’altro sennò?