Quanto dura il grande amore? Per sempre, verrebbe da rispondere, ma ne siete proprio sicuri? A 32 anni non si riesce ad accasarmi, checché ne voglia dire chiunque, la parola che riecheggia dentro me, ben saldata da una stratificazione secolare, è “zitella”.
Ed è come una zitella che guardo al matrimonio -degli altri- e che ho letto questo libro, ovviamente. Come una che pensa che non esista forma d’amore più grande che tollerare che qualcuno ti invada il letto, la cucina, il bagno, il cuore. Amare qualcuno che ti rivolge la parola appena sveglia -mia madre non lo farebbe mai- che esige delle cose da te, che vuole che moduli il tuo tempo e i tuoi spazi anche in base ai suoi, condividere insomma, dare, anche quando non ne se ne ha voglia. Bello, no? Forse non proprio! Il mio letto a una piazza e mezza, la macchinetta del caffè che mamma mi lascia pronta sul fornello la mattina, il mio tempo, i miei spazi e guardo, gli altri. Amore che soffoca sotto i calzini che lui non riesce a portare in bagno, lei che dimentica per anni di avere delle gambe da radere, figli che fagocitano il tempo e il desiderio.
Tua di Claudia Piñeiro parte da un quesito: cosa accade quando il matrimonio smette di essere ciò che credevamo dovesse essere e diventa ciò che è? Ines è una casalinga, ha una bella vita, un buon marito e una figlia adolescente che la fa dannare, è perciò immersa felicemente in un cliché. Un sospetto ad un certo punto però si fa strada dentro di lei; quindi decide di seguire il marito, una sera, e lo vede commettere un omicidio: Ernesto spintona la sua amante provocandone la morte. Tua, la donna che si verga così col rossetto, sta mandando in pezzi la felicità coniugale altrui morendo. Ines decide in quel preciso momento di salvare a tutti i costi la sua famiglia, di non permettere che “un incidente” la disfi, che l’incidente sia il tradimento o la morte di qualcuno poco importa.
Ma le cose sono molto più complicate di così, i tradimenti sono molteplici e i due coniugi, impegnati nei loro intrighi, non si rendono conto di quello che sta accadendo a quella che una volta era la loro bambina. Il matrimonio, la vita semplice, il cliché sta precipitando verso una fine, la fine.
Non posso dilungarmi oltre poiché quest’opera dell’argentina Claudia Piñeiro è considerato da molti un giallo, e si sa che a svelare troppo la trama di un giallo si rischia il linciaggio degli altri lettori. Io in realtà faccio fatica a considerarlo in questo genere. Certo, la storia, il piccolo colpo di scena finale, e le morti lasciano vita facile a chi voglia definirlo tale, eppure contiene in sé altri elementi che, a mio avviso, soverchiano la definizione. Il disfacimento della famiglia tradizionale, le menzogne che si è disposti a raccontare e raccontarsi pur di continuare a vivere la vita che ci era stata assegnata o che ci eravamo assegnati noi stessi, la difficoltà di capire chi ci sta intorno e che a modo suo vive un problema troppo grande.
Lo stile è incalzante e alterna tre diverse forme, passa dal racconto in prima persona di Ines, al discorso diretto della figlia Lila, all’asciutto e impersonale resoconto del medico legale e degli investigatori. Si legge in una sola notte perché breve e scorrevole, nonostante il tema.
L’unica cosa che ha stentato a convincermi è stata la strana ingenuità di Ines che a tratti sembra, non riesco a definirla altrimenti, scema. Il contrasto tra questo suo strano candore lucido e ciò che le accade in ogni caso regge; e anche se l’avrei forse preferita meno svagata, la contraddizione poi non sarebbe parsa così forte come invece in definitiva risulta.
Che il matrimonio sia il coronamento di un sogno stile film Disney o la tomba dell’amore, di certo questo libro ne svela le distanze tra reale e immaginato, tra ciò che appunto dovrebbe essere e si desidera che sia- mentre vestiti da meringa e pinguino un uomo e una donna si dicono sì- e ciò che invece gli anni e l’abitudine ne fanno. Chiaramente non in tutte le famiglie si consuma poi un omicidio, o almeno spero.
Per parte mia devo dire che, chiusa l’ultima pagina, la parola “zitella” aveva un suono dolce, tutto sommato.