La figura di Tullio Serafin (1978 – 1964), uno dei massimi direttori d’ orchestra italiani del Novecento, non ha ricevuto attenzione adeguata da parte degli studiosi. Oltre ai due ottimi volumi di Teodoro Celli e Giuseppe Pugliese (Tullio Serafin il patriarca del melodramma, basato sugli appunti autobiografici inediti scritti personalmente dal maestro) e di Daniele Rubboli (Tullio Serafin: vita, carriera, scritti inediti) poco altro è disponibile per coloro i quali volessero approfondire la conoscenza di questo musicista, che svolse un lavoro di capitale importanza sia dal punto di vista esecutivo che nella scoperta e valorizzazione di decine di cantanti tra i quali spicca la figura di Maria Callas, della quale fu il vero e proprio pigmalione artistico. Merita quindi una segnalazione la recente uscita di un nuovo libro dedicato al direttore veneto, intitolato Tullio Serafin il custode del bel canto, scritto dalla giovane musicologa Nicla Sguotti, nata e residente a Rottanova di Cavarzere e quindi conterranea del maestro. Il volume, pubblicato dall’ editore Armelin Musica di Padova, nasce come tesi di laurea dell’ autrice, che ha potuto consultare una gran mole di documenti contenuti nel Fondo Serafin, lasciato in eredità da Donatella Sabetta, nipote del musicista, al Circolo Amici di Tullio Serafin fondato a Rottanova nel 1989. Avvalendosi di questi documenti, Nicla Sguotti ha tracciato nel suo libro un eccellente ritratto di un direttore troppo spesso liquidato dai critici come un routinier o un battisolfa. Tullio Serafin era invece un grandissimo direttore. Non per niente un mito della bacchetta come Karajan ne aveva la massima stima (cfr. Richard Osborne, “Conversazioni con Herbert von Karajan”, Parma, 1990, p. 98) e lo stesso dicasi di Toscanini che lo elogiò pubblicamente in varie interviste e riferendosi a lui ripeteva spesso: “Se dirige il Vecchio, possiamo star tranquilli!”. Per non parlare di tutti i compositori che la pensavano allo stesso modo e che richiedevano espressamente la sua presenza per le esecuzioni delle loro opere, spessissimo in prima assoluta o in prima italiana; tra i tanti, basterebbe citare i nomi di Richard Strauss, Mascagni, Alfano, Britten, Lualdi, Malipiero, Petrassi, Hanson, Casella, Montemezzi e tanti altri. Non dimentichiamo che dobbiamo a Serafin le prime riproposte moderne di capolavori rossiniani come Semiramide, Tancredi, Armida, Donna del lago (anche se l’ ascolto della registrazione di quest’ ultima suona oggi molto discutibile a causa della versione utilizzata, con un finale malamente raffazzonato dal revisore e privato del rondò “Tanti affetti”), e dell’ Otello, riesumato con grande successo dall’ Opera di Roma nel 1964 per sua iniziativa e che avrebbe dovuto dirigere lui se le condizioni di salute glielo avessero permesso, oltre a tante esecuzioni di Barbiere, Cenerentola, Guglielmo Tell e Mosé. Serafin non fu mai un battisolfa né un ignorante, anche se per modestia si definiva tale. Fu un musicista di solida preparazione tecnica e culturale, molto attento alla musica a lui contemporanea, che inseriva regolarmente nei programmi delle stagioni liriche da lui ideate, spessissimo collaborando con gli autori per suggerimenti tecnici in fase di elaborazione della partitura. Fu un direttore dal repertorio esteso e completo come pochi altre bacchette della storia: diresse 243 titoli, dei quali una settantina in prima esecuzione assoluta e che spaziavano dall’ Orfeo monteverdiano, di cui diresse una delle prime riprese moderne a Roma nel 1935 come inaugurazione della sua prima stagione da direttore artistico del Teatro Reale dell’ Opera, fino al Wozzeck di Berg da lui eseguito per la prima volta in Italia nel 1942.
Nella prefazione, l’ autrice riporta un bel ritratto di Serafin tracciato da Nello Santi, che da giovane ebbe modo di conoscere Tullio Serafin e ricevere da lui insegnamenti preziosi. La parte strettamente biografica del libro di Nicla Sguotti è scritta con accuratezza e precisione, ma la parte più interessante del lavoro è senz’ altro costituita dalla cronologia completa delle recite di Tullio Serafin, che documenta con precisione una carriera luminosa come poche altre nella storia del teatro lirico. In 68 anni di atticità, a partire dal debutto milanese nel 1898 alla Sala Follia sotto lo pseudonimo di Alfio Sulterni (il giovanissimo maestro fece mettere in cartellone l’ anagramma del suo vero nome per aggirare il divieto di esibirsi in pubblico imposto agli studenti del Conservatorio di Milano) fino ai Meistersinger del 1964 all’ Opera di Roma, di cui Serafin dovette interrompere la seconda recita a causa di problemi causati da una salute ormai malferma. È un elenco di date e nomi che si legge con la stessa attenzione suscitata da un romanzo, pensando al numero incredibile di cantanti da leggenda presenti nei cast delle produzioni dirette dal maestro, in un arco temporale che va da Enrico Caruso e Mattia Battistini fino al giovane Luciano Pavarotti che fu scelto e preparato personalmente dal direttore veneto per una produzione del Rigoletto a Palermo nel 1962, quando il giovane tenore era in carriera da poco più di un anno. Di pari valore è la serie di documenti inediti trascritti e pubblicati da Nicla Sguotti, comprendente lettere di grandi compositori come Strauss, Mascagni, Pizzetti, Casella e Montemezzi, oltre che di Gabriele D’ Annunzio e Maria Callas. Come parte finale del lavoro, la giovane autrice ha voluto inserire un’ intervista a lei rilasciata da Carlo Bergonzi nella quale il grande tenore parmigiano, recentemente scomparso, racconta alcuni episodi relativi alle sue collaborazioni artistiche con Serafin e lo definisce entusiasticamente come “il signore dei direttori d’ orchestra”. Una bellissima conclusione per un libro la cui lettura mi sento di raccomandare caldamente a tutti gli appassionati di opera lirica.