Dopo i numerosi i video e le immagini che stanno circolando sui social network e che mostrano, evidentemente, quella che è una realtà troppo scomoda per il governo turco, il premier Erdogan, durante un'intervista televisiva, ha affermato: "Oggi abbiamo una minaccia che si chiama Twitter. Le bugie migliori si possono trovare qui. Per me, i social media sono la peggiore minaccia della società”.
Ironia della sorte, proprio lui parla di bugie: ha infatti detto che le decine di migliaia di manifestanti non erano che “4 o 5 vandali”, e per questo ha sottolineato che il progetto urbanistico studiato “rispetta la storia, la cultura e l'ambiente”, e che quello che hanno intenzione di fare è “difendere i diritti della maggioranza e preservare la bellezza di Istanbul”.
La retata anti-Twitter che si è svolta mercoledì scorso a Smirne, ha immediatamente suscitato scalpore, in quanto sono state arrestate ben 24 giovani con l'accusa di aver mandato messaggi di appoggio ai manifestanti tramite il celebre social network. Secondo i media locali si tratta di “informazioni false e diffamatorie”, ma i tweet parlano da soli: “Non venite a Gundogdu, hanno sparato i lacrimogeni”, “non andate in piazza Losanna, c'è la polizia”, “ci stanno prendendo a manganellate”.
Una fuga di notizie che è meglio mettere a tacere, subito, individuando, proprio tra questi innocui status informativi, un vero e proprio pericolo. Per questo, Ali Engin, uno dei responsabili locali del CHP, il maggior partito di opposizione, ha affermato che gli arrestati, nei loro status, avrebbero “invitato la gente a partecipare”.
D'altronde non c'è da stupirsi, visto che, come scrive ironicamente il quotidiano di sinistra Sozcu, commentando la condivisione una foto che ritrae poliziotti che strattonano una ragazza per i capelli, prima di prenderla a manganellate, “ritwittare una foto di quanto sta succedendo è un crimine organizzato”.