Posted 6 gennaio 2014 in Slider, Turchia with 0 Comments
di The Economist (trad. Silvia Padrini)
Il governo di Recep Tayyip Erdogan ha molte questioni difficili da affrontare
Quando la primavera araba ha infiammato il Medio Oriente tre anni fa, i democratici speranzosi in cerca di un modello hanno guardato alla Turchia come un Paese che sembrava combinare l’Islam moderato con il benessere e la democrazia. Purtroppo, gli arabi non hanno seguito la tendenza turca. Al contrario, la Turchia ha imboccato la vecchia via araba verso la corruzione e l’autocrazia.
Nelle ultime due settimane un pubblico ministero turco ha arrestato dozzine di persone nell’ambito delle indagini su trasferimenti d’oro illeciti e le tangenti versate nell’industria edilizia. I sospetti includono uomini d’affari vicini al partito della Giustizia e dello Sviluppo (AK) al governo, così come funzionari, politici e i figli di tre ministri. Il primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, combattivo più che mai, ha reagito con vigore- alimentato dalle voci che uno dei suoi stessi figli fosse il prossimo della lista. Ha fatto un rimpasto di governo per mettere i fedelissimi in prima linea, ha cercato di prendere il controllo delle indagini della polizia e ha fatto sollevare il pubblico ministero dal caso sulla corruzione. I suoi ministri hanno spiegato tutto questo parlando di “golpe soft”.
Per la Turchia, tutto ciò è sconfortante. Erdogan, al potere da quasi undici anni, è arrivato a confondere la propria sorte con la sorte del Paese. La sua prontezza nell’utilizzare maniere forti sulla polizia e sulla magistratura indebolisce lo stato di diritto. Il suo rifiuto nell’ammettere qualsiasi controllo sul suo potere soffoca la democrazia.
Il peccato è che fino a poco tempo fa pareva che Erdogan sarebbe diventato il più grande leader del Paese dopo Ataturk, fondatore della repubblica moderna. Negli anni in cui è stato al potere, il PIL pro capite è più che raddoppiato in termini reali. La Turchia si è modernizzata, riformandosi abbastanza per conquistare il dialogo con l’Unione Europea che il Paese ha cercato per quarant’anni. L’esercito è stato rimandato nelle caserme, insieme alla storica debolezza causata dai golpe.
Hizmet non sorride più
Ora Erdogan è assalito dai problemi. L’economia, che ha visto dimezzare il suo tasso di crescita a partire dal 2011, è dipendente dai flussi di capitali esteri. Già prima dello scandalo, essa era vulnerabile per la fine della basso costo della moneta americana. Il mercato azionario ha visto crollare di un terzo il proprio valore in dollari rispetto al picco registrato all’inizio della scorsa estate. La politica è in grado di determinare in che direzione andrà a partire dalla situazione attuale.
Una seconda difficoltà risiede nello scioglimento di un patto che ha permesso a Erdogan di affrontare l’esercito e uscire vincente. I tribunali hanno condannato diverse centinaia di ufficiali e i loro sostenitori civili anche grazie al gruppo islamico segreto guidato da Fetullah Gulen, il religioso che vive in esilio in Pennsylvania e che conta molti seguaci nella polizia e nella magistratura. Le prove, almeno in parte, sono state inventate. In ogni caso l’AKP e Hizmet ,“il Servizio” (il movimento di Fetullah Gulen, ndt) hanno rotto i rapporti – forse per l’ostilità di Erdogan nei confronti di Israele, forse perché il Primo Ministro non è disposto ad accettare alcun rivale. Nonostante Gulen lo neghi, molti sospettano che le indagini sui casi di corruzione siano partite da un ordine diretto a sfidare l’AKP e il suo leader.
Questo però non scagiona Erdogan, bensì rappresenta il suo terzo problema. Se il suo partito è corrotto, non solo sta violando la legge, ma sta tradendo i suoi più fedeli sostenitori che si aspettano sia migliore dei governi laici della Turchia che sono stati “sporchi”. Egli non può eliminare i sospetti di corruzione calpestando la polizia e i tribunali più di quanto non sia riuscito a neutralizzare il movimento di protesta in Turchia con il giro di vite sulle manifestazioni a livello nazionale avvenute l’estate scorsa. Al contrario, ad ogni tentativo di imbavagliare i critici e gli oppositori, le divisioni interne alla Turchia diventano più profonde.
I turchi dovrebbero preoccuparsi se la polizia e la magistratura possono essere utilizzati contro alcuni gruppi quando questo fa comodo al potere. L’idea che i gulenisti abbiano cavalcato i casi di corruzione mentre l’AKP era loro alleato, solo per bersagliare il partito in questo momento, solleva il sospetto che alcuni funzionari non siano fedeli alla Costituzione ma a qualcos’altro, molto probabilmente a Gulen.
Il sistema giuridico è l’unico controllo al potere di Erdogan. L’opposizione in Turchia è debole e mal guidata. I giornalisti critici vengono arrestati e quelli che non sono critici è perché si autocensurano. Erdogan domina il suo partito. L’influenza dei gulenisti è dannosa e la Turchia ha bisogno di un ordine pubblico imparziale. Andrà ancora peggio se Erdogan controllerà la polizia e i tribunali come controlla tutto il resto.
Erdogan vuole diventare presidente della Turchia alle elezioni di quest’anno. Se egli non cambia, però, la Turchia saprà fare di meglio con un nuovo inizio.
Articolo pubblicato in inglese sulle versioni cartacea e on-line dell’Economist, traduzione di Silvia Padrini per EastJournal.
Foto AFP
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