Posted 7 febbraio 2014 in Slider, Turchia with 0 Comments
di Silvia Padrini
A seguito di accesi dibattiti nel parlamento di Ankara, la firma è arrivata anche per il pacchetto di leggi che restringono la libertà di espressione nel web. Le nuove misure, approvate il 5 febbraio, permetteranno all’autorità per le telecomunicazioni di bloccare un sito web senza consultare alcun organo giudiziario. Basterà che l’ente stesso riscontri una violazione della privacy o informazioni ritenute calunniose o discriminatorie. Inoltre, i provider saranno obbligati a registrare le attività on-line di ciascun utente, conservarle per due anni e metterle a disposizione delle autorità, qualora richiesto. Quelli citati sono solo due esempi eloquenti delle varie implicazioni che avrà la nuova normativa.
La censura al regno sconfinato di internet è stata presentata dalla maggioranza al governo come provvedimento volto a tutelare i diritti individuali e la vita privata dei cittadini. L’AKP di Erdogan, detentore della maggioranza in parlamento non ha avuto difficoltà a far approvare la serie di leggi che ora sono al centro della discussione nella società turca e sotto i riflettori oltreconfine.
L’opposizione ha interpretato la mossa della maggioranza come un ulteriore tentativo di coprire gli scandali sulla corruzione che stanno investendo gli uomini della compagine governativa e cercare così di frenare il crollo del gradimento tra i cittadini turchi in vista della prossima tornata elettorale. Tra i più convinti antagonisti ai nuovi provvedimenti c’è, chiaramente, il Partito Pirata turco. I portavoce della totale libertà del e nel web hanno prodotto un manifesto contro la censura nel paese, nel quale dichiarano ufficialmente di non riconoscere la legittimità della legge 5651, in accordo con i diritti fondamentali sanciti dai principali organismi internazionali.
Al di là del Bosforo, la notizia circola in fretta e le reazioni arrivano solerti. L’Unione Europea esprime preoccupazione per la crescente limitazione delle libertà. Peter Stano, portavoce del commissario all’allargamento Stefan Fule, ha comunicato in una conferenza stampa la posizione dell’UE in merito: “i cittadini hanno bisogno di più trasparenza e non di maggiori restrizioni“, dunque questa legge per la Commissione europea “deve essere rivista perché rispetti gli standard europei”. Ora la palla passa al presidente Gül, l’unico che può ancora rimettere in discussione le leggi attraverso il diritto di veto.
La Turchia, ad ogni modo, non sta facendo dei passi indietro rispetto a una situazione idilliaca. Anche prima che venissero approvati gli ultimi provvedimenti per il controllo sulla rete, i punti critici erano significativi. Nel report sulla libertà di espressione dell’osservatorio Freedom House il paese era etichettato come “parzialmente libero” e, pur con le leggi precedenti, poteva accadere che l’autorità per le telecomunicazioni intervenisse direttamente per far togliere contenuti “politici” da siti o blog . È quanto accaduto, ad esempio, al parlamentare del CHP Umut Oran.
Nonostante le evidenti pressioni interne ed esterne per un reale rispetto dei princìpi democratici, il governo sembra impegnato a tempo pieno a escogitare strategie per rimanere al potere, talora facendo terra bruciata intorno per scongiurare ogni minaccia. I cittadini turchi, tuttavia, non sono inermi o assopiti e hanno già ampiamente dimostrato di essere consapevoli dei propri diritti, di avere memoria storica e coscienza civica. Probabilmente Erdogan farebbe meglio a ridare priorità a libertà e consultazione, riavvicinarsi alle esigenze degli elettori, evitare l’ isolamento in una roccaforte anatolica e lavorare per un dialogo veramente costruttivo con l’Unione Europea. Se così non fosse, la strada per una ‘democradura’ o ‘autoritarismo vestito da democrazia’ rischia di essere amaramente rapida e già segnata.
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