John Gotti, padrino di New York (1940-2002)
A spulciare con pazienza certosina le vecchie annate
dei quotidiani, italiani e stranieri, c’è sempre molto da imparare. Soprattutto si capiscono di più i misteri mai risolti che hanno segnato la storia italiana del secolo scorso.
Non siamo tra quelli che commettono l’errore di
passare da un giallo all’altro. Abbiamo la cocciutaggine di scavare molto su un punto e di tirare fuori materiali sepolti da decenni. Siamo convinti che di volta in volta ci raccontano fatti sempre nuovi. Prendiamo, ad esempio, il cold case
di Salvatore Giuliano da Montelepre, classe 1922, terrorista di professione. Le cronache ci dicono che sarebbe stato assassinato durante un conflitto a fuoco con i carabinieri, a Castelvetrano, in Sicilia, il 5 luglio 1950.
Ma i grandi giornali americani che siamo andati a leggere, ci raccontano un dramma mediterraneo un po’ diverso. Ci parlano della fuga nel Nuovo Mondo del re di Montelepre. Una storia, la sua, la cui parabola terminale inizia nell’agosto 1949, quando a Bellolampo sette carabinieri saltano in aria su una mina collocata sullo stradale Palermo-Montelepre. Giuliano vuole chiudere, a modo suo, la partita aperta con lo Stato dopo gli eccidi
della primavera-estate del 1947.
Ma ora, in quest’altra torrida estate siciliana, gli attori e le scene cambiano. C’è, ad esempio, il colonnello dell’Arma Ugo Luca, un vecchio amico di Mussolini per il quale ha lavorato in missioni speciali in Turchia e in Medio Oriente, negli anni Trenta. Il ministro dell’Interno Mario Scelba, lo nomina capo del Comando Forze Repressione Banditismo (Cfrb). Ci sono anche gli uomini di Cosa Nostra, a cominciare dai Miceli, dagli Albano e dai Marotta, capimafia rispettivamente di Monreale, Borgetto e Castelvetrano. E non mancano gli uomini dell’Anello, il Servizio ultrasegreto coordinato dal sottosegretario alla
presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti. Tutti interessati ad arrivare il
prima possibile e senza danni collaterali alla conclusione di una faticosa trattativa
che nessuno era stato ancora in grado di definire fino a quel momento.
I termini del patto da stipulare sono chiari: De
Gasperi e il suo governo garantiscono che il capobanda scompaia per sempre
dalle scene siciliane, protetto da Cosa nostra
e dalla Cia. In cambio, Giuliano assicura di non rivelare mai le trame
terroristiche nazifasciste che lo hanno visto protagonista a partire dal fatidico
1943.
Tutto ci porta a dubitare delle verità più o meno
ufficiali: che il capobanda sia morto in conflitto con i CC.; che sia stato
ammazzato quella notte da Gaspare Pisciotta; o, in ultimo, che sia stato
qualche altro a farlo fuori a tradimento. Male fece Tommaso Besozzi a scrivere
su l’Europeo che di sicuro c’era solo che Giuliano era morto. Proprio lui,
grande giornalista, che aveva messo tutto in discussione in quei giorni,
avrebbe avuto forse l’obbligo di dubitare anche di quel corpo adagiato nel
cortile Di Maria, in una pozza di sangue.
Ma non si può coprire il sole col colabrodo, come si
dice in Sicilia. Appena un anno fa proprio Gregorio Di Maria, 98 anni, l’avvocaticchio
che secondo i rapporti ufficiali nascondeva il capobanda a casa sua, ha rivelato agli infermieri che lo
accudivano nel nosocomio di Castelvetrano, lucido come un ragazzino, la verità
su ciò che accadde quella notte d’estate. E cioè che a casa sua, la sera del 4
luglio 1950, si erano riuniti la mafia, la massoneria e i carabinieri per
organizzare una messinscena utilizzando il cadavere di un povero sosia che
aveva il solo torto di assomigliare in maniera impressionante a Turiddu.
E ora si aggiungono elementi di grande interesse che potrebbero aiutare a fare luce su una verità taciuta per sessant’anni e sulla quale sta indagando la Procura della
Repubblica di Palermo.
Il “Chicago Daily Tribune”, ad esempio, il 1° ottobre
1949 ci informa che l’agenzia di stampa Reuters ha diffuso una “breve”
inquietante. “Salvatore Giuliano, il re dei banditi siciliani, ha fatto oggi
richiesta di un passaporto per lasciare l’Italia”. Non sappiamo i termini e le
forme della richiesta e sconosciamo anche le fonti alle quali si appoggia la
nota agenzia giornalistica. Sappiamo, però, che in quel momento la trattativa
tra il terrorista e lo Stato è in una fase di svolta. Tant’è che a metà gennaio
1950 la madre del monteleprino, Maria Lombardo, rinchiusa da qualche mese nelle
carceri femminili di Termini Imerese, è rimessa in libertà per ordine del
ministro Scelba. E’ il segnale che, in modo sotterraneo, qualcosa si muove.
Il 18 dicembre 1949 compare sul “Daily Boston Globe”,
la seguente notizia, diffusa dall’Associated Press: “Si riporta oggi che
Salvatore Giuliano starebbe pianificando di scappare negli Stati Uniti”. E non
c’è da dubitarne, se è vero che, una settimana dopo, l’antivigilia di Natale, il
capobanda banchetta con l’ispettore capo della Ps destinato al Ministero della
Frontiera, Ciro Verdiani. L’ispettore è felice come una Pasqua e per festeggiare l’occasione, si porta
dietro una bottiglia di Marsala e un bel panettone.
Sempre il 18 dicembre 1949, il “Chicago Daily Tribune”
titola: “La Sicilia è in eccitazione in merito alla voce della fuga del re dei banditi” (fonte
Reuters). Così leggiamo: “I siciliani oggi hanno preso atto, con sentimenti
misti di sollievo e di rancore, delle persistenti voci secondo le quali
Salvatore Giuliano è sfuggito a una retata della polizia ed è scappato dalla
Sicilia. […] Secondo un altro dispaccio, Giuliano ha detto al giornalista
Jacopo Rizza [in data 17 novembre 1949, durante un’intervista realizzata in una
stalla di Salemi]: ‘Andrò negli Stati Uniti e metterò in piedi alcune
fabbriche. Non ho paura del viaggio perché sono sicuro di riuscire a procurarmi
documenti falsi’.”
E arriviamo, così, al 6 febbraio 1950, quando il “Los
Angeles Times” pubblica un articolo che ci chiarisce il quadro generale al cui
interno si era definita la Santissima Trinità che vedeva in un solo corpo le
tre entità di Cosa Nostra, dello Stato e dei Servizi segreti internazionali. La
fonte, questa volta, è l’Associated Press, e il titolo spiega molte cose: “Praga
afferma che Lucky Luciano comanda i banditi siciliani”: “Il quotidiano
cecoslovacco ‘Prace’ ha scritto oggi che il capobanda Salvatore Giuliano altro
non è che un agente dei possidenti siciliani guidati dall’ex vicerè della mafia
di New York, Lucky Luciano. Il quotidiano ha descritto Luciano come un ‘agente
dell’intelligence americana’. […] ‘Prace’, organo dei sindacati, ha aggiunto: ‘Giuliano
incontrò Lucky Luciano, che è un agente dell’intelligence americana, di origini
siciliane’.”
Lucky Luciano
Questa notizia non giunge nuova a chi studia la
carriera criminale di Salvatore Lucania, alias Lucky Luciano, il big boss della mafia siculo-americana, nato a Lercara Friddi, nel 1897. Che il raìs di Cosa
Nostra fosse addentro al controspionaggio americano, a partire dal 1943, lo dicono chiaramente le centinaia di documenti dell’Fbi da noi ritrovati negli Archivi nazionali americani di College Park, qualche anno fa. Ma lo afferma
anche un giornalista di razza come Felice Chilanti quando ci mette al corrente di un dettaglio inquietante: l’incontro tra Lucky Luciano e Salvatore Giuliano a bordo del panfilo del principe Giovanni Francesco Alliata di Montereale,
nella primavera del 1946, al largo del golfo di Castellammare.
Ma non è tutto. Il 18 giugno 1950 il “Chicago Daily
Tribune” pubblica un pezzo dal titolo inequivocabile: “Il re dei banditi
siciliani sarebbe sano e salvo negli Usa” (fonte Reuters). Eccone un brano: “Il
recente comportamento rilassato di Maria Giuliano, madre del re dei banditi
siciliani, ha dato adito a voci secondo le quali l’assassino di centocinque uomini
delle forze dell’ordine, sarebbe fuggito in America. La voce è che
l’affascinante killer ventisettenne si
trovi a Boston. Oggi, è circolata la notizia che Giuliano ha raggiunto suo
cognato, Pasquale Sciortino, che scomparve qualche tempo fa [nell’estate del 1947]
dalla Sicilia e il cui nome suscita il medesimo terrore evocato da Giuliano
[…]. Il mese scorso, secondo queste voci, Giuliano sarebbe partito dal suo
rifugio nelle colline di Montelepre per recarsi a Palermo. Con l’aiuto degli
uomini della sua banda e della mafia, Giuliano avrebbe quindi raggiunto Licata
per poi imbarcarsi in una nave battente bandiera francese”.
Mancano poco più di due settimane alla messinscena
della notte di Castelvetrano, ma in America circola già il rumor che Giuliano
l’abbia fatta franca, grazie agli interventi di Cosa nostra. E’ una notizia
sulla quale i giornali statunitensi sprecano fiumi d’inchiostro. E non è un
caso.
La mafia siculo-americana, insomma, ha perso la
pazienza. Le trattative per salvare la pelle a Turiddu sono durate troppo a
lungo e non c’è garanzia alcuna che vadano in porto. Nei palazzi, infatti,
qualcuno fa il doppio gioco: promette la libertà al terrorista ma al contempo
trama per farlo fuori. Un bel quadretto all’italiana. I boss non si
fidano dello Stato. Ora rompono gli indugi e passano all’azione. Vogliono
dimostrare il loro potere illimitato e battono i pugni sul tavolo. Giuliano è
cosa loro. Anticipano i fatti e li dirigono come in un film. E’ chiaro che a
quella data, cioè nel maggio del 1950, Giuliano è già al sicuro, tra amici e
parenti. Nel quartiere italiano di Boston.
La clamorosa notizia mette in allarme le forze
dell’ordine della città americana, sulla costa atlantica. Infatti il capo della polizia, Edward W. Fallon, è costretto ad intervenire personalmente per cercare di calmare le
acque e salvare la faccia. Scrive il quotidiano: “Fallon ha dichiarato che le
autorità ‘non credono affatto’ alle voci secondo le quali Giuliano potrebbe
trovarsi in città. ‘Non siamo in possesso di informazioni che indichino la
presenza di Giuliano a Boston’.” Ma subito dopo si impappina e se ne esce con
la seguente frase: “In ogni modo, non abbiamo alcun contenzioso con lui. Se
Giuliano si trovasse a Boston, sarebbe un caso di competenza dell’Fbi o del Dipartimento
dell’immigrazione statunitense’. ”
Boston, market 1950
Nei giorni precedenti, la notizia che Giuliano è a Boston, nel quartiere italiano a Nord della città, è stata diffusa da un quotidiano locale, “Il Momento”. Il 18 giugno 1950, poche ore dopo, Scelba rilascia in fretta e furia una nota ufficiale a Roma con cui smentisce la
notizia che Giuliano avrebbe trovato rifugio a Boston. Ma da quando in qua un ministro della Repubblica sta dietro alle chiacchiere dei giornali?
Insomma, gatta ci cova. Tant’è che l’Ufficio immigrazione
statunitense si mobilita e qualche giorno dopo pizzica un’ottantina di mafiosi
siciliani che trafficano in immigrati fatti arrivare clandestinamente in
territorio americano.
La notizia la pubblica, il 23 giugno 1950, nientemeno
che il “New York Times”, con il seguente titolo: “Gli Stati Uniti debellano due
organizzazioni che si occupavano dell’immigrazione clandestina in America.” (fonte
United Press): “Il Dipartimento dell’immigrazione degli Stati Uniti ha
annunciato stasera di avere arrestato oltre ottanta persone. Tra costoro, un
noto gangster italiano, nel corso di un’operazione volta a smantellare
un’organizzazione che favoriva l’immigrazione clandestina. Tale organizzazione,
per vari mesi, ha fatto arrivare nell’area di Detroit diversi immigrati italiani,
alla spicciolata. Lo ha detto il funzionario James W. Butterfield. Cinquanta
arresti sono stati effettuati a Detroit, gli altri a New York e altrove.
Butterfield ha aggiunto che gli italiani clandestini tratti in arresto
arrivavano negli Stati Uniti attraverso i porti della costa Est [New York e
Boston] e di quella meridionale. Butterfield ha identificato uno degli
stranieri come Gaetano Badalamenti, ex luogotenente di Salvatore Giuliano, il
capobanda siciliano. Badalamenti è stato arrestato in un sobborgo di Wyandotte,
nel Michigan, il mese scorso. […] Le autorità italiane hanno richiesto
l’estradizione di Badalamenti per omicidio, sequestro di persona e numerosi altri
crimini [reati commessi in Italia fino
al 1947, quando il giovane criminale scappa in America per raggiungere il
fratello, nel Michigan]. Butterfield ha aggiunto che le autorità italiane hanno
identificato Badalamenti come un ex luogotenente di Giuliano”.
Dunque, le voci circa la presenza di Turiddu Giuliano
a Boston, a partire dal maggio 1950, hanno un qualche fondamento nella
clamorosa presenza di Tano Badalamenti, futuro capo della cupola in Sicilia e
mandante dell’assassinio di Peppino Impastato nel 1978. Tano agisce nell’area
della costa orientale americana, interessata dal narcotraffico e dai flussi
clandestini di immigrati siciliani controllati da Cosa Nostra. E poi c’è la
sorpresa, certamente avvalorata dalle autorità di Roma, che il Badalamenti,
all’epoca ventisettenne, è definito un ex luogotenente di Giuliano.
Tano è in buona compagnia in America. Dal 1947 sono
con lui altri due membri di spicco della banda: Pasquale Sciortino, il
terrorista che organizza gli assalti armati alle Camere del Lavoro della
provincia di Palermo nel giugno 1947, e Francesco Barone, alias ‘Baruneddu’, che
in Sicilia aveva il compito di tenere i contatti con Lucky Luciano e che era in
ottimi rapporti con il famigerato Fra’ Diavolo, cioè il numero due della banda
monteleprina, Salvatore Ferreri.
Perché, a partire dall’estate del 1947 sbarcano tutti
e tre in America? Con gli attacchi terroristici di quell’estate, dopo l’eccidio
di Portella della Ginestra, di fatto si chiude la fase insurrezionale
neofascista guidata dai Far di Pino Romualdi, al cui servizio opera lo
squadrone della morte di Giuliano, e si apre quella delle trattative per la
messa in salvo del capobanda e dei suoi luogotenenti. Ne è garante Cosa Nostra,
tramite l’organizzazione American Friends of Sicily, di fatto nelle mani di
Mike Stern, il giornalista-spia americano che incontra Giuliano a Montelepre
l’8 maggio 1947.
Tutto avviene con la mediazione della mafia che,
guarda caso, è quella dell’area interessata dagli attacchi terroristici. Vi
troviamo a Partinico Santo Fleres, a Borgetto gli Albano, a Cinisi (dove la
sede del Pci salta in aria con una bomba a miccia lunga) Tano Badalamenti e don
Masi Impastato, a San Cipirello don Salvatore Celeste, a Monreale i Miceli al
gran completo. Cioè tutti i capimafia che tengono in pugno le sorti di Giuliano
e dei suoi uomini. Per loro non c’è solo una questione d’onore e di parola, ma
soprattutto un interesse economico preciso. Vediamolo.
Stando all’articolo apparso sul “Daily Boston Globe”,
il 9 luglio 1950, scritto dal giornalista Alex Valentine (Fonte Reuters),
Giuliano ha “esportato capitali per circa 750.000 dollari, soprattutto nelle
banche americane e in quelle dell’Africa settentrionale [in Tunisia]. La
polizia [italiana] e fonti non ufficiali stimano che, nel corso del suo regno
quinquennale, Giuliano abbia accumulato 1.500.000 dollari. Secondo le forze dell’ordine,
Giuliano aveva nascosto il suo denaro all’estero. Questa è la prova che il
fuorilegge stava pianificando di abbandonare la Sicilia.
In conclusione, perché Giuliano trattiene per sé solo
la metà di questa enorme somma di denaro? Evidentemente l’altra metà finisce
nelle tasche dei boss siculo-americani che gli garantiranno sicurezza e
tranquillità negli anni a venire in America.
E’ questa un’ipotesi sulla quale anche gli inquirenti potrebbero
indagare. L’anno scorso hanno infatti ascoltato un ex agente dei Servizi
segreti italiani vicino all’Anello, il quale ha riferito di avere accompagnato
Giuliano al funerale dell’amata madre, nel gennaio 1971. Secondo l’ex spia,
Turiddu viveva da molti anni negli Usa, sotto la protezione della Cia e di Cosa
Nostra.
Fatti e misfatti, quelli che abbiamo raccontato, sui
quali doveva essere bene informato un pezzo da Novanta della mafia americana,
che rispondeva al nome di John Gotti. Come riferisce l’Ansa il 28 ottobre 2010.
Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino