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Turismo di guerra

Creato il 29 luglio 2014 da Simone D'Angelo @SimonDangel
Turismo di guerra

Sempre più persone viaggiano nelle zone a rischio, supportati da agenzie ad hoc

C’è chi per le sue vacanze immagina atolli tropicali e spiagge bianche e c’è chi, invece, sogna rivoluzioni e bombardamenti. Che i viaggiatori non siano più spaventati da situazioni politiche instabili o addirittura da un contesto di guerra più o meno aperta lo rivela l’Ufficio Nazionale Israeliano del Turismo. Nonostante i missili palestinesi e i continui raid su Gaza, le presenze straniere nella zona rimangono regolari con oltre 100mila turisti attualmente in vacanza, convinti che la crisi non si allargherà o che le misure di sicurezza siano più che sufficienti a tutelarli.

Esiste però anche chi programma da subito il proprio viaggio in modo da trovarsi di proposito nelle zone di conflitto, a un passo da trincee e barricate. Si tratta del cosiddetto turismo di guerra, che vanta centinaia di appassionati in tutto il mondo e diversi tour operator dedicati.

Questa attrazione per il pericolo e le emozioni forti ha spinto alcune università a indagare a fondo sul fenomeno. La Uclan (University of Central Lancashire) ha creato a questo scopo l’Istituto per il Turismo Nero, che si concentra sullo studio di tutti i viaggi collegati in qualche modo alla morte e alla distruzione. Secondo l’università l’industria dei viaggi estremi non è mai stata così fiorente, con un incremento medio, tra il 2009 e il 2013, del 65%.

La diffusione del turismo di guerra inizia ad essere un problema per i governi, costretti a rincorrere per il mondo i loro cittadini più imprudenti. Il Giappone ha già affrontato diverse crisi di questo tipo, una delle quali è finita nel modo più drammatico: nel 2004 un ragazzo che aveva deciso di entrare in Iraq da solo e con uno zaino in spalla è stato rapito e ucciso da un gruppo di estremisti islamici.

Turismo di guerra

La mappa dei conflitti nel mondo (gennaio 2014)

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