“Tutta in bicicletta” è un romanzo scritto in maniera delicata e lieve, pulito e schietto come solo un uomo di campagna avrebbe potuto scrivere. Le parole profumano del bucato della Palmira, di paesaggi toscani visti da una panchina un po’ sbertucciata e neanche troppo comoda, di strade sterrate per arrivare a Poggiagrilli, di paglia delle stalle dove volendo ci nascono anche i figlioli, di case contadine e di prosciutto sotto la cenere, di tavoli da biliardo e di poltroncine di velluto dove si studiano manuali di veterinaria accanto a Dante. Il linguaggio usato è privo di artificiosità, ma si dipana, in maniera scorrevole e chiara, senza alcuna sbavatura o forzatura, in maniera funzionale alla storia, sostenendola senza stravolgerla, ricorrendo al toscano alla bisogna e ritornando in punta di piedi all’italiano più lindo. “Tutta in bicicletta” è un romanzo percorso dall’ironia tipica toscana, ma più delicata, più aggraziata rispetto a quella becera e talvolta stonata a cui siamo abituati. Si sorride di cuore e con il cuore, in maniera gradevole e leggiadra. E’ scritto da un veterinario e si vede. E’ abitato da tanti animali che accompagnano a vario titolo le vite dei protagonisti di questa straordinaria saga familiare, e lo fanno in maniera complice e garbata: la gatta Ginger, il cane Pane, la mucca Serafina, i grossi vermi per la pesca delle anguille in Friuli e i maiali dell’allevamento dello zio Omero. Ognuno di loro è descritto in maniera amorevole solo come un uomo che abbia scelto come missione nella vita la cura degli animali sarebbe in grado di fare. I ricordi di Rodrigo e di Rachele si snodano in maniera anarchica, saltando tempo e spazio, ma questo non impedisce al lettore di seguire le fila della loro memoria a ricomporre un quadro che pur nella sua semplicità, costituisce la straordinaria e incredibile avventura della loro vita insieme, delle loro famiglie, dei loro fratelli, dei loro genitori e infine dei loro figli. Due soli, a mio parere, i personaggi che aggiungono poco alla storia ma che la attraversano in maniera quasi superflua: l’Ufficiale della Nato e il Barbone letterato, e forse non è un caso che ne venga fuori una triste rima baciata. Entrambi si siedono accanto a Rodrigo per affidargli fugacemente alcuni dei loro ricordi, ma questa non è la loro storia né il loro spazio e il loro inserimento appare un po’ forzato. Altro punto dove il testo soffre un po’ è, ahimé, quando don Guido, il prete, tenta di spiegare a Rodrigo i finti affreschi di Bruno dei Vespai, detto Pennello, dalla cui descrizione però emerge più che altro una lezioncina da catechismo un po’ pedante, ribadita più avanti nell’omelia al funerale di Boris. Quel Guido, però, mi pare ben ricollocato nel quadro e redento dalla colpa del tedio cattolico grazie a quella sacrosanta imprecazione alla maremma grossetana pronunciata nello sforzo di caricare in macchina la vecchia panchina da restaurare. Perché i toscani sono così, imprecano, anche da preti. “Tutta in bicicletta” è un romanzo scritto bene, con una struttura chiara e bella, forte e poetica, che lascia un senso di buono nelle immagini che produce, che non ostenta niente di più di quello che dà e che comunque è tanto ed è bene. E soprattutto ti suggerisce la migliore di tutte risposte ogni qualvolta qualcuno sbrigativamente ti dice “è troppo lungo da spiegare”, tu rispondigli “no, mio caro, è che sono troppo complicati loro”.
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“Tutta in bicicletta” è un romanzo scritto in maniera delicata e lieve, pulito e schietto come solo un uomo di campagna avrebbe potuto scrivere. Le parole profumano del bucato della Palmira, di paesaggi toscani visti da una panchina un po’ sbertucciata e neanche troppo comoda, di strade sterrate per arrivare a Poggiagrilli, di paglia delle stalle dove volendo ci nascono anche i figlioli, di case contadine e di prosciutto sotto la cenere, di tavoli da biliardo e di poltroncine di velluto dove si studiano manuali di veterinaria accanto a Dante. Il linguaggio usato è privo di artificiosità, ma si dipana, in maniera scorrevole e chiara, senza alcuna sbavatura o forzatura, in maniera funzionale alla storia, sostenendola senza stravolgerla, ricorrendo al toscano alla bisogna e ritornando in punta di piedi all’italiano più lindo. “Tutta in bicicletta” è un romanzo percorso dall’ironia tipica toscana, ma più delicata, più aggraziata rispetto a quella becera e talvolta stonata a cui siamo abituati. Si sorride di cuore e con il cuore, in maniera gradevole e leggiadra. E’ scritto da un veterinario e si vede. E’ abitato da tanti animali che accompagnano a vario titolo le vite dei protagonisti di questa straordinaria saga familiare, e lo fanno in maniera complice e garbata: la gatta Ginger, il cane Pane, la mucca Serafina, i grossi vermi per la pesca delle anguille in Friuli e i maiali dell’allevamento dello zio Omero. Ognuno di loro è descritto in maniera amorevole solo come un uomo che abbia scelto come missione nella vita la cura degli animali sarebbe in grado di fare. I ricordi di Rodrigo e di Rachele si snodano in maniera anarchica, saltando tempo e spazio, ma questo non impedisce al lettore di seguire le fila della loro memoria a ricomporre un quadro che pur nella sua semplicità, costituisce la straordinaria e incredibile avventura della loro vita insieme, delle loro famiglie, dei loro fratelli, dei loro genitori e infine dei loro figli. Due soli, a mio parere, i personaggi che aggiungono poco alla storia ma che la attraversano in maniera quasi superflua: l’Ufficiale della Nato e il Barbone letterato, e forse non è un caso che ne venga fuori una triste rima baciata. Entrambi si siedono accanto a Rodrigo per affidargli fugacemente alcuni dei loro ricordi, ma questa non è la loro storia né il loro spazio e il loro inserimento appare un po’ forzato. Altro punto dove il testo soffre un po’ è, ahimé, quando don Guido, il prete, tenta di spiegare a Rodrigo i finti affreschi di Bruno dei Vespai, detto Pennello, dalla cui descrizione però emerge più che altro una lezioncina da catechismo un po’ pedante, ribadita più avanti nell’omelia al funerale di Boris. Quel Guido, però, mi pare ben ricollocato nel quadro e redento dalla colpa del tedio cattolico grazie a quella sacrosanta imprecazione alla maremma grossetana pronunciata nello sforzo di caricare in macchina la vecchia panchina da restaurare. Perché i toscani sono così, imprecano, anche da preti. “Tutta in bicicletta” è un romanzo scritto bene, con una struttura chiara e bella, forte e poetica, che lascia un senso di buono nelle immagini che produce, che non ostenta niente di più di quello che dà e che comunque è tanto ed è bene. E soprattutto ti suggerisce la migliore di tutte risposte ogni qualvolta qualcuno sbrigativamente ti dice “è troppo lungo da spiegare”, tu rispondigli “no, mio caro, è che sono troppo complicati loro”.
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