Ecco, questo è un libro che a leggerlo ti fa venire un nodo in gola, anzi, crea un senso di disagio. Eppure non lo metteresti giù per nessun motivo perché, proprio come avviene per i migliori scrittori, sa acciuffare il lettore e non lo molla finché non è finito. Barbara Codogno è una giornalista e scrittrice molto nota, ma mai come in questo suo ultimo romanzo le sue due anime si fondono alla perfezione. La storia è ambientata soprattutto a Padova, ma in una Padova lontana dalle bellezze e raffinatezze artistiche e culturali. Sono le sue periferie più tetre, notturne e pericolose le vere protagoniste di questo requiem agito nella violenza. Come gironi infernali in cui scorrono la droga, il crimine, il malaffare e la prostituzione, si aggirano rifiuti umani e delinquenti, bande di criminali riciclati e in disarmo, gente flippata dalle droghe che assume come fossero vitamine. Ed è la storia di Marta, una donna bellissima e di origini molto umili, che ha trovato nella bellezza il mezzo di scambio per un matrimonio che la introduce nella Padova-bene, nei circoli dei ricconi, fra la gente che conta. Che conta cosa? Gli schei, i soldi. Così come li contano quei criminali che vivono parallelamente a lei in una città parallela e di cui prima Marta non aveva la più pallida idea.
Perché, nel naufragio totale di quello che viene definito Nord Est e che un tempo – per breve tempo – era ricco e prospero grazie all’esplosione economica rapidissima, che ha arricchito in modo spropositato gente un tempo contadina o di modestissime condizioni economiche, l’unico valore sopravvissuto è quello dei soldi. Tutti figli della serva (Gaffi editore) è una metafora: tutti schiavi dei soldi. Non è importante con che mezzi si ottengano, ma che li si ottengano. Che si tratti di liberi professionisti, imprenditori, criminali, politici, l’unico dio è il soldo e la corruzione il mezzo. La gente si vende l’anima per il soldo, per le belle macchine, per la droga, per gli abiti firmati, per le case e i ristoranti di lusso. Per la bella vita. Una vita tutta in superficie, perché fermarsi a riflettere significa rendersi conto che si è morti.
Ma Marta un giorno si ferma e si accorge che il matrimonio al primario ospedaliero è ripugnante, come suo marito, che la vita è altro, che lei la schiava di lusso non la vuole fare più. E se ne va via, senza un soldo. Ora deve iniziare a vivere davvero. Ma il lavoro che trova, che parrebbe un dignitoso lavoro di segretaria, la precipita in un abisso ancora più tetro, perché si trova invischiata in un viluppo maledetto di crimini, truffe, traffici illegali e omicidi. I personaggi che incontra, orrendi esseri senza riscatto, si muovono in un’atmosfera vischiosa, oscura e soffocante. Nemmeno le povere schiave del sesso, importate dai paesi dell’Est, avranno salvezza, tranne una, in cui Marta trova uno specchio e che riuscirà a fuggire.
Il romanzo, costruito come una sorta di puzzle, inizia e finisce con un omicidio. Ma, nonostante il romanzo alluderebbe a un riscatto di Marta, che alla fine emerge dall’inferno, in realtà quel riscatto è parziale. Non ci si libera mai del tutto dal soffio acre del male se vi si è scesi a compromesso.
Non è facile per una scrittrice riuscire a descrivere e a far percepire la violenza di una società marcia e corrotta come quella di cui i giornali quotidianamente ci danno notizia. Gli scandali degli intrecci fra malavita e politica ci sono noti, ma forse quello che ci è meno noto e ci meraviglia è di come si possa mostrare una faccia che si vorrebbe credibile, quando sotto pullula solo liquame. Ecco, Barbara Codogno riesce a farcelo vedere, perché la sua è una scrittura vera, senza sconti, dura e pura e d’acciaio. Eppure infinitamente dolente e compassionevole con chi merita compassione.
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