La festa dei comitati promotori a Roma
Le consultazioni referendarie tenutesi il 12 e 13 giugno 2011 sono state uno straordinario esempio di partecipazione civica, che ha portato - in media sui quattro quesiti - un numero ben superiore alla maggioranza assoluta degli elettori alle urne per dire la propria sui temi della privatizzazione del servizio idrico, dell'energia nucleare e del legittimo impedimento.
Il primo numero che consente di inquadrare la rilevanza dell'appuntamento referendario è 54,81%, ovvero la percentuale, comprensiva del collegio estero, di Italiani che hanno in media partecipato alla consultazione: 27.631.948 elettori su 50.417.952 aventi diritto hanno infatti preso parte alla tornata referendaria 2011. Un successo di partecipazione come non si vedeva dal 1995 nel nostro Paese per un referendum abrogativo, le cui cause primarie - insofferenza verso il governo, quesiti approntati su più argomenti tutti di elevato appeal, rivoluzione comunicativa dei social network - sono state analizzate da Termometro Politico con dovizia di particolari.
Affluenza nelle regioni italiane
al referendum 2011
Esaminando il referendum dal punto di vista geografico, il 50,37% medio della Calabria ed il 64,60% medio del Trentino Alto Adige costituiscono gli estremi di un dato di partecipazione popolare che ha visto il quorum raggiunto in tutte le regioni italiane.
Oltre al Trentino Alto Adige, anche Emilia Romagna, Toscana, Marche e Valle d'Aosta hanno fatto registrare un dato superiore alla soglia psicologica del 60% di affluenza.
Confronto dell'affluenza su base regionale
Referendum 2011 - Europee 2009
Sono particolarmente interessanti, come mostra la tabella, i differenziali rispetto alle ultime elezioni che hanno coinvolto l'intero territorio nazionale, le Europee tenutesi nel 2009. A fronte di un generale minor grado di affluenza che si può considerare fisiologico rispetto al differente tipo di consultazione, si evince tuttavia un comportamento differente sia a livello generale sia sul modo in cui le singole regioni hanno risposto alla consultazione.
In primo luogo si nota una maggior uniformità di affluenza a livello nazionale: se alle europee tra l'Emilia Romagna e la Sardegna si registravano oltre trenta punti di differenza nel dato della partecipazione, nel referendum tra Trentino Alto Adige e Calabria questa differenza si è ridotta a quattordici punti. Motivare questo appiattimento delle differenze attraverso la riduzione dei votanti allo "zoccolo duro" che si reca sempre alle urne - quindi con maggiori riduzioni nelle regioni a maggiore affluena - sarebbe tuttavia una spiegazione incompleta. Se si osserva l'andamento del voto infatti emergono comportamenti anche profondamente differenti tra le regioni della penisola. In particolare, alcune mostrano persino un incremento della partecipazione rispetto al 2009: Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige, Sicilia e soprattutto Sardegna. I cali più consistenti si verificano invece in Lombardia e in Umbria, dove però si partiva da un tasso di affluenza altissimo alle ultime europee.
Cartogramma del numero di elettori (a sinistra)
e votanti al referendum 2011 (a destra)
Se tuttavia si passa all'analisi dei dati assoluti le differenze percentuali di partecipazione tra le singole regioni appaiono immediatamente molto meno importanti. Come mostra il cartogramma sopra riportato, la rappresentazione dell'Italia degli aventi diritto di voto e quella dei reali partecipanti al referendum 2011 sono molto simili tra loro.
La distribuzione geografica del voto mostra in sostanza un comportamento piuttosto uniforme in tutta la penisola, e questo fenomeno è forse la maggiore sorpresa della consultazione: non ci sono state vere e proprie spaccature tra regioni di destra e di sinistra: il Piemonte di Cota e la Liguria di Burlando hanno totalizzato la medesima percentuale, così come la Lombardia di Formigoni e la Basilicata di De Filippo, o la Campania di Caldoro e la Puglia di Vendola.
D'altra parte, il semplice numero di votanti lascia intendere come la mobilitazione referendaria abbia travalicato i confini dell'elettorato di opposizione; in particolare, uno studio condotto da EMG e Termometro Politico ha mostrato come oltre il 40% degli elettori di centrodestra abbiano scelto di recarsi alle urne. Il dato assume naturalmente ancora più valore se si tiene conto che uno dei quattro quesiti impattava pesantemente sulle vicende giudiziarie del Presidente del Consiglio, e che non vi sono state particolari differenze di affluenza tra i quattro quesiti.
In particolare, se è vero che sono state le due schede sull'acqua a fare da traino - a smentire coloro che vogliono legare alla contingenza dell'effetto Fukushima il raggiungimento del quorum - è altrettanto vero che alla fine meno di 20.000 schede hanno separato il quesito meno votato (n° 4) da quello più votato (n°2): circa lo 0,07%.
Gli ultimi numeri che hanno caratterizzato il referendum sono forse quelli più significativi in assoluto, e quelli che maggiormente permettono di fare luce sul "dopo", sulla tenuta del Governo ed il futuro stesso della legislatura: 51,44%, 51,83%, 50,86% e 51,05% sono le percentuali raggiunte dai SI ai quattro quesiti calcolate sul totale degli aventi diritto di voto in Italia e all'estero. Questo significa in pratica che le norme oggetto dei quesiti referendari sono state bocciate dalla maggioranza assoluta degli Italiani.
Anche se legalmente un referendum riguarda un singolo provvedimento e non un Governo nel suo complesso, la natura dei quesiti unita alla dimensione della bocciatura tende a smentire le dichiarazioni di alcuni esponenti della maggioranza che tentano di non vedere nel voto di domenica e lunedì un voto contro il governo.
Se infatti è sbagliato ascrivere la vittoria ad una parte politica in particolare - gli elettori di centrodestra che hanno partecipato alle consultazioni continuerebbero per la stragrande maggioranza a votare centrodestra nel caso di elezioni politiche a breve termine - è altrettanto vero che sono stati bocciati dagli Italiani:
- il piano energetico nazionale previsto dal Governo
- la gestione degli enti e dei beni di pubblica utilità proposta dal Governo
- un aspetto fondamentale della concezione della Giustizia del Governo, e per estensione l'intero impianto delle leggi cosiddette ad personam