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Tutto il TENAX di Fabrizio Bianchini per ritrarre gli anni Ottanta della disco – di Iannozzi Giuseppe aka King Lear

Creato il 30 gennaio 2012 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Tutto il TENAX di Fabrizio Bianchini
per ritrarre gli anni Ottanta della disco

di Iannozzi Giuseppe aka King Lear

Tutto il TENAX di Fabrizio Bianchini per ritrarre gli anni Ottanta della disco – di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
Fabrizio Bianchini cavalca gli anni Ottanta, conducendo il lettore in una società schizzata come quella del miglior Enrico Brizzi. Ma Pretty, o Il Maestro, all’anagrafe Fabrizio Luciani, non è un novello Jack Frusciante, è invece un dj che vive il canto del cigno di tante notti sciupate in discoteca.

Pretty è poco più d’un ragazzo che tira su un milione di lire o giù di lì facendo il dj. Di seguire le orme dei genitori, grigi borghesi, non tiene alcuna voglia. Il rapporto con il padre e la madre semplicemente non esiste, perlomeno dal suo punto di vista: lui li disprezza per la loro immobilità e loro non fanno niente per avvicinarsi al figlio, si limitano a sopportarlo perché se non altro non grava sulle spese di famiglia.
Pretty vive per la pista da ballo, per la dance degli anni ’80: è un dj molto quotato e rispettato dai giovani come lui; tuttavia non ha ancora adempiuto agli obblighi di leva, e prima o poi la cartolina lo strapperà alla sua esistenza felice e non poco stronza. Nel frattempo Fabrizio continua a ripetersi che di Pretty ce n’è uno e uno solo. Il Papero e il Marmista sono i suoi amici più intimi, il primo uno che parla come un papero mangiandosi tutte le esse, il secondo una sorta di Frankenstein con poco cervello.

Tutto il TENAX di Fabrizio Bianchini per ritrarre gli anni Ottanta della disco – di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
Per Pretty c’è la discoteca, non c’è altra vita che conosca. Come dj le sciacquette che gli fanno il filo non sono poche e lui ne approfitta, una sgommata e via. E’ un gran scopatore, una macchina del sesso, e non gl’è mai capitato d’innamorarsi. Passa con estrema facilità da un letto a un altro, fa l’alba, torna a casa a mattino fatto, mezzo ubriaco e con la bocca impastata di nicotina: è convinto di non aver bisogno di altro. Ciò non ostante intuisce che gli anni Ottanta sono oramai al tramonto, che non si può sperare di rimanere giovane e fico per sempre: un giorno si sveglierà, dopo aver fatto il militare, e davanti a sé troverà il vuoto. E’ questo quasi sempre un pensiero fugace, e però c’è e quando c’è non può ignorarlo.
Insieme al Papero e al Marmista, girovagando nei pressi di Macerata, Pretty aspetta il grande evento, il concerto di Diana Est che si terrà all’Image, nel locale dove lui si lavora i dischi. Per Fabrizio l’arrivo di Diana Est è un evento a cinque stelle, il massimo che ci si possa aspettare dalla vita; e a dirla tutta, per tutti i giovinastri di Macerata e dintorni il concerto della diva rappresenta il QUID delle loro esistenze senza né rotta né direzione.
Pretty s’innamora di Chiara, anche se fatica ad ammetterlo, perché lui è Pretty, è il dj e un dj della sua fama non può permettersi di cadere in amore.
All’improvviso la fragilità delle esistenze condotte da Pretty, il Papero e il Marmista verrà travolta da una frana di proporzioni immani. Il Tenax che Fabrizio usa per tenere in ordine i capelli non servirà a renderlo più bello o presentabile davanti ai tragici eventi che lo piegano, forse spezzando per sempre la dissolutezza che spesso s’accompagna a una gioventù vuota di ideali e prospettive.

Con TENAX l’autore Fabrizio Bianchini, dopo il grande successo incontrato con La banda del grano e Cose sfiziose (entrambi per Cicorivolta Edizioni), dimostra di non aver nulla da invidiare al migliore Enrico Brizzi o Giuseppe Culicchia. TENAX è perfetta fotografia sgranata degli anni Ottanta, che merita a pieno titolo di stare fra Jack Frusciante è uscito dal gruppo e Tutti giù per terra.

TENAX – Fabrizio Bianchini – Cicorivolta edizioni – collana I quaderni di Cico “49″ – pagine 188 – ISBN 978-88-97424-00-0 – prezzo di copertina € 12,00

Fabrizio Bianchini è nato a Macerata il 07/11/1961 e attualmente vive a Pollenza (MC).
Ha pubblicato il suo primo romanzo, La banda del grano, nel 2006 con Cicorivolta Edizioni, a cui è seguito, sempre con Cicorivolta, Cose Sfiziose. Con Edizioni Montag ha poi dato alle stampe Fuochi a mezzanotte, In fondo al nero e una raccolta di racconti suoi e di Alberto Cola dal titolo Rotte Clandestine. Ha scritto a quattro mani con Franco Forte, per Delos Books, un manuale, Come partecipare ai premi letterari e vincere.
Suoi racconti sono presenti in antologie edite, fra gli altri, da Fandango, Delos Books, Malatempora.


Brano tratto da TENAX di Fabrizio Bianchini

1

Succede sempre così. Quando arriviamo noi, in pista rallentano fino quasi a fermarsi e ci fissano. Siamo fichi. Soprattutto io.
Il Papero davanti, io in mezzo, e il Marmista con la busta dei dischi nuovi a chiudere la fila.
L’ordine d’ingresso non cambia mai, come la frase che mi rivolge il Papero con un ghigno mentre ammicca verso le ragazze che ballano sotto la consolle: – Maeftro, guarda quanta carne da macello.
Stasera Dumbo, il mio secondo, sta mandando Flesh for fantasy, di Billy Idol. Gli rivolgo un’occhiataccia di quelle che stenderebbero un toro. Lo sa che non deve bruciarmi le hit. Lui distoglie lo sguardo e china il viso. Emiliano, detto Dumbo per le orecchie, è un ragazzino di quindici anni che sogna di diventare un dj famoso, mi fa tenerezza.
Il Papero ha seguito la scena. Si ravvia i capelli biondi che gli cadono davanti agli occhi, indica Emiliano con il mento, poi unisce le dita e mi sventola la mano davanti in quello che è una sorta di marchio di fabbrica. – Perché non lo cacci via a calci in culo, quel pupaffo?
Ci penso io, Maestro? – interviene il Marmista, che non ha capito ma vuole rendersi utile.
Gli appoggio una mano sulla spalla e mi sembra di toccare il ferro. – Va tutto bene – lo tranquillizzo, con un sorriso.
Leonida Patrassi, detto il Marmista perché fabbrica lapidi nell’azienda di famiglia, è un armadio di quasi due metri. Una volta l’ho visto staccare da dietro la 500 color mattone del Papero e trascinarla verso il centro della strada per sfogare un’arrabbiatura. Qualsiasi altro essere al mondo che si fosse chiamato Leonida sarebbe stato oggetto di prese per il culo infinite; al Marmista questo non succede, anzi. Per tutti è Leo. Gli unici che possono permettersi di chiamarlo Marmista siamo io e il Papero. Ha appena pronunciato una delle poche frasi di senso compiuto che gli abbia sentito dire; di solito grugnisce. Ricorda vagamente Lou Ferrigno, quello di Hulk. Ha la capacità di ragionamento di una mosca ma è un dettaglio irrilevante, l’essenziale è che mi adori.
Intanto Emiliano è tornato alla scaletta che gli compete, canzoni vecchie che servono a scaldare l’ambiente in attesa che l’Imagine si riempia e DJ Pretty, il Maestro per gli intimi, inizi lo show. Adesso ha mixato da cani, il cretino; gli avrò ripetuto un milione di volte che deve contare le battute, e che i piatti sono dei vecchi Lenco a cinghia e il disco parte lento e bisogna fargli prendere velocità con le dita.
Una gomitata del Papero mi distoglie dai pensieri. Mi volto verso di lui e lo vedo gonfiare il petto. Giulia si sta avvicinando con una ragazza dalle poppe enormi che non conosciamo. Sono convinto che il Papero mi sia tanto amico solo perché gli permetto di rimorchiare alla grande. La seconda scelta è sempre per lui; la terza, quando c’è, tocca al Marmista. Mi va bene così. Non nutrirà nei miei confronti la devozione di Leo però sa rendersi utile, è bravo a reggere il gioco con le donne, e con quella esse blesa è proprio divertente. Si chiama Sandro Principi, ma è il Papero dalla notte dei tempi. Alto e magro come un chiodo, con un gran ciuffo di capelli biondi resi lisci dalla piastra, quando scende in pista calamita l’attenzione delle donne. Ha un’agilità e una leggerezza di movenze che gli invidio, e più di una ragazza gli ha detto che quando balla sembra John Travolta. Veste sempre con Clark’s, jeans a tubo e camicia nera. A vederlo qui, nessuno potrebbe immaginarlo con addosso una tuta da lavoro sporca d’olio di motore.
- Ciao, Fabrizio – urla Giulia sopra la musica, poi mi caccia cinque centimetri di lingua in bocca e mi accarezza i ricci scolpiti dal Tenax. Ci tiene a far vedere che è la mia ragazza.
Giulia ha ventiquattro anni, uno più di me, lavora come ostetrica all’ospedale di Macerata. Castana con gli occhi verdi, è piccolina ma dura come la roccia, e quando gode urla; è per questa peculiarità che il rapporto va avanti da due mesi. Un record, per me.
Adesso mi guarda estasiata. – Dove l’hai preso? È bellissimo. Proprio da fricchettone.
- Da Sisley, a Macerata, bella bimba. Oggi pomeriggio.
In effetti sono al top. Sopra alla solita maglietta a rete indosso questo giubbino rosa e viola dai bottoni dorati, un nuovo arrivo della collezione primaverile 1984 che ho pagato 99.900 lire. Dato che c’ero ho fatto un salto anche alla Bottega di Riccardo per acquistare l’ennesimo paio di Levi’s scoloriti a tubo. Che mi frega? Tanto, per mettere su quattro dischi qui a Tolentino, mi danno un milione al mese.
Faccio l’occhiolino a Giulia. – Bella bimba, tocca a me.
Intanto il Papero ha attaccato bottone con Poppe Enormi e le sventola davanti la mano. Mi pare di capire che le stia dicendo che qui dentro sono tutti dei pupazzi. Lei squittisce e sbatte le ciglia.
Prendo i dischi dalle mani del Marmista e salgo sulla consolle. Al mio arrivo, Dumbo si scansa con una sorta di inchino e mi porge le cuffie. Come al solito sgancio un auricolare e incastro il superstite fra orecchio e spalla. Quindi prendo il disco degli effetti speciali e scocco uno sguardo d’intesa a Romeo, l’addetto alle luci che ha la postazione a pochi metri dalla mia.
Sfumo la musica e per alcuni istanti è solo buio e silenzio. Poi, come il fragore dei tuoni e il ticchettio della pioggia invadono la pista e un fumo acre e giallognolo si alza attorno alla consolle, entrano in funzione le luci stroboscopiche.
In sottofondo ecco le prime note di Big in Japan, quasi coperte dagli applausi del pubblico.
Quando Marian Gold attacca a cantare, sono tutti in pista.
Leo si è piazzato davanti a me, con i gomiti appoggiati alla parte esterna della consolle. Mi dà le spalle e osserva il mio popolo ballare. È una specie di angelo custode. Quelli con un pisello fra le gambe che vogliono parlarmi devono chiedere il permesso a lui. Il Papero, invece, ha fatto sedere Poppe Enormi su un divano e ha iniziato le manovre di avvicinamento.

La serata scorre via alla grande. Il pubblico è entusiasta, Giulia balla e Dumbo mi guarda adorante e sospira in attesa che arrivi il momento dei lenti, quando toccherà di nuovo a lui. Oggi mi prende bene. Lavoro molto di equalizzatore, mi diverto a mandare due brani contemporaneamente in perfetta sincronia, ogni mixata è perfetta. Dev’essere merito dell’erbetta che ci siamo fumati prima di entrare.
Mentre la mia adorata Diana Est canta Le Louvre, il Marmista si volta di scatto. Ha il terrore negli occhi.
- Maestro!
Gli rivolgo uno sguardo interrogativo.
- Chiara… – farfuglia.
- Come?
- Chiara. Là.
Adesso la vedo. Sta al guardaroba. Per un momento è panico assoluto e cieco. Io e Chiara stiamo insieme da una decina di giorni. L’ho conosciuta qui giovedì dell’altra settimana, in quella che è la serata universitaria. Studia legge a Macerata ma è di Lecce; il fine settimana torna a casa, almeno così mi aveva garantito. Doveva essere una combinazione perfetta, perché di giovedì Giulia non viene mai. Chiara è una cavallona mora, alta almeno un metro e settanta, di quelle che malgrado le tette piccole non sai da che parte cominciare a mettere le mani, e ha un viso di una delicatezza e sensualità come non ne avevo mai visti; ogni volta che mi guarda ho paura di affogare in quegli oceani di tenebra che ha al posto degli occhi. Non me l’ha ancora data, e questo è un motivo più che valido per non rischiare di perderla. E voglio tenermi pure Giulia e le sue urla.
- Maestro…
Finalmente prende forma un barlume di lucidità.
Certo!
- Leo, manda il Papero da Giulia. Deve dirle che ho avuto un improvviso attacco di stomaco, che sto male da cani e bisogna che torno subito a casa. Domani le telefono.
- Vado.
- Aspetta. – Lo afferro per un braccio. Qualsiasi altro non avrebbe potuto raccontarlo con tutti i denti in bocca. – Poi corri da Chiara e fermala. Racconta la stessa storia pure a lei. Io arrivo subito.
Ho appena finito di parlare, che il Marmista ha già sollevato di peso il Papero dal divano dove stava avvinghiato con Poppe Enormi. In questi casi Leo sa essere ricettivo, per fortuna. Solo, ce la farà ad articolare la storia in maniera comprensibile?
- Finisci la serata tu – dico a Dumbo.
Gli occhi del ragazzino si illuminano. – Davvero? – Quasi mi strappa le cuffie dalle mani.
Annuisco. Speriamo che non combini troppi casini. Adesso devo farla bere a Rodolfo, il direttore di sala. Intanto è bene calarsi nella parte. Mi piego in due, porto una mano allo stomaco, e cerco di assumere un’espressione sofferente.
Mentre scendo dalla postazione, incrocio lo sguardo preoccupato di Giulia che sta parlando con il Papero. Le faccio cenno di restare dov’è e la saluto con un sorriso mesto. Lei mi manda un bacio in punta di labbra e torna a ballare.
Bene.
In lontananza, dalla parte dell’uscita, vedo le spalle del Marmista. Dietro a quella montagna di muscoli dovrebbe esserci Chiara.
Ottimo.
Ecco Rodolfo.
Niente da dire, è un gran personaggio. Avrà un trentacinque anni, e malgrado l’aspetto di una lattina con la barba, svolazza leggiadro per la discoteca con uno smoking rosa. Non l’ho mai visto parlare con una donna.
- Che succede? – fa, preoccupato.
Mi produco in una smorfia di dolore da premio Oscar. – Sto male da cani. Non ce la faccio.
- Ma sei pazzo? Di sabato? – Quando si innervosisce, comincia a gesticolare come un forsennato e la voce gli diventa stridula. – Il ragazzino non può reggere la serata.
Come a confermare le sue parole, Dumbo va fuori tempo. Adesso sono tutti fermi a guardare verso la consolle. Il pubblico dell’Imagine è così, non ti perdona nulla, e non c’è niente di peggio di vedere trecento persone che di colpo smettono di ballare e ti fissano immobili per tre, quattro interminabili secondi. Qualche volta è successo anche a me, in passato, quando non ero ancora DJ Pretty.
- Ecco, hai sentito? Hai visto? Cazzo! – Rodolfo sembra sull’orlo di una sincope.
- Credi che lo faccia apposta? – Mi piego ancora di più. – Non vedi in che condizioni sono? Non so nemmeno se ce la farò a guidare.
- Io ti faccio scalare la serata dallo stipendio.
- Rodolfo…
- Vaffanculo.
- Dài, che per domani sera ce la faccio.
- Vaffanculo!
Lo vedo allontanarsi sculettando, con la mano sinistra all’altezza del viso piegata ad angolo retto e le dita rivolte verso l’esterno. È andata. Rodolfo non manterrà la minaccia, lo conosco bene. Ma io resto un irresponsabile. Da qui alla chiusura dovrà sorbirsi un’infinità di persone che andranno a lamentarsi per l’incapacità di Dumbo. Scaccio il pensiero con una scrollata di spalle; il ragazzino non l’ho scelto io, mi è stato imposto proprio da Rodolfo perché è il nipote di uno dei soci. Potevano pensarci prima, può succedere che uno stia male.
L’ultimo ostacolo prima della salvezza si materializza dopo pochi passi. Ormai sono all’altezza del bar, a una manciata di metri dal corridoio dell’uscita.
- Fabri, quanto mi dispiace. Volevo farti una sorpresa.
Non puoi immaginare come ci sei riuscita bene.
- Accompagnami alla porta, – la mia voce è un rantolo.
Sono proprio bravo, dovevo fare l’attore.
- Maestro…
- Per favore, Leo. Sorreggimi.
Quando si dice che la classe non è acqua.
- Aspetta, ti aiuto anch’io.
Chiara mi prende sottobraccio. È bello sentire il suo contatto. Ci siamo visti solo tre o quattro volte, e tutto si è risolto con qualche bacio; quando ho provato ad allungare le mani mi ha sempre fermato. Non so perché, quando sto con lei ho l’impressione che del mio personaggio non le importi nulla, che stia provando a vedere se può innamorarsi di Fabrizio. Ma cosa potrà trovarci, in un Fabrizio Luciani qualsiasi?
Adesso basta con le paranoie. È colpa dell’erbetta e del fatto che mi sono calato nella parte del sofferente in fin di vita. Chiara, come direbbe il Papero, è carne da macello. Come tutte.
Siamo arrivati all’uscita. Rivolgo una smorfia di saluto ai due bestioni in doppiopetto blu e cravatta regimental che rispondono con un lieve cenno del capo. Non riesco ancora a capacitarmene, sono più grossi del Marmista. Uno di loro apre la porta.
- Fabri, ce la farai a guidare?
Mi lascio sfuggire un sibilo di dolore. – Ci proverò – rispondo, con una smorfia di rassegnato fatalismo.
Chiara mi abbraccia forte. – Non posso vederti così.
- Maestro, ti accompagno?
Il Marmista dirà sul serio? Vuoi vedere che alla fine si è convinto che sia vero?
- No, Leo, tranquillo.
- Senti, Fabri, ti porto io. Poi domani veniamo a prendere la tua macchina.
Non se ne parla proprio!
- Figurati, ormai sei qui, vai a divertirti… tu che puoi.
Lei mi afferra la mano.
- Fabri…
Mi sciolgo da quella presa calda e piacevole con delicatezza. – Stai tranquilla. Domani ti telefono… Leo, te la affido.
Do loro le spalle ed esco verso il parcheggio con un’andatura barcollante.
Meno male che veniamo sempre con tre macchine.
Per ogni evenienza.

(…)

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