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Tutto molto esageratamente tragico

Da Fabry2010

Tutto molto esageratamente tragico

La telefonata arriva e Manuela risponde come al solito dando il numero d’operatrice e il nome. Dice “come posso aiutarla?”
“Aiutarmi sì” dice la voce dall’altro capo della linea. “È per via della mia connessione internet.”
Manuela ascolta questo genere di chiamate tutti i giorni. Ha di fronte a sé uno schedario di problematiche e risposte. Le prime volte – quando aveva appena cominciato a fare quel lavoro – lo consultava in continuazione. Se lo era addirittura portato a casa per leggerselo e studiarselo. Per essere in grado di trovare tutto quello di cui aveva bisogno nel momento in cui ne aveva bisogno. Dopo una settimana la sua collega Maria, operatrice 82, le aveva detto, durante una pausa sigaretta, “altre due settimane e passerai anche tu al sistema automatico.” Il sistema automatico riduceva i tempi e la fatica. La parola utilizzata nei manuali era proprio quella, fatica. Era stato sviluppato negli Stati Uniti a partire dagli anni sessanta, e nel tempo era stato ulteriormente perfezionato, “c’è gente che ha studiato davvero questa roba” aveva detto Maria.
Maria avrebbe potuto essere una trentenne in cattiva forma o una quarantenne con ancora qualche cartuccia da sparare, difficile dirlo, e tutte le volte che si rivolgeva a Manuela lo faceva sempre come se si trattasse di una sorella minore. Stessa cosa con gli altri colleghi, soprattutto coi nuovi. Non che si conoscessero tra loro. La maggior parte degli operatori si incrociavano silenziosamente fuori dall’entrata dell’edificio in Via Guicciardini, o nel cortile interno, intorno a un posacenere. E questo era quanto.
“Cara” le aveva detto Maria, “ancora due settimane e anche tu sarai in grado di fare il tuo lavoro e contemporaneamente mandarti messaggini col fidanzato. Ne hai uno, vero? Certo che ne hai uno, una ragazza bella come te… Lasciati dire una cosa. È semplice. Secondo il sistema automatico di risposta, l’infinita varietà di domande di una telefonata può essere ridotta a cinque differenti tipologie. Non te le sto qua a spiegare, è tutto scritto nello schedario, ce l’hai lo schedario no? A queste domande esistono dieci differenti risposte. Imparatele a memoria e il lavoro è fatto.” Maria portava occhiali da vista e aveva un seno prosperoso. Aveva labbra grandi e piene, su cui spalmava sempre un rossetto viola profondo. Era sempre scollata, anche d’inverno, anche quando il riscaldamento non riscaldava e al lavoro tutti indossavano giacca e sciarpe. Maria vestiva il cappotto – sempre lo stesso – sulle spalle. Lo teneva appena appoggiato. E portava una sciarpetta giallo canarino aperta sul collo, col petto bene in vista, come se invece di passare le sue giornate seduta su una sedia con un’auricolare e un pannello in plastica davanti, si fosse trovata al banco clienti di qualche boutique del centro.
“Tempo un paio di mesi” aveva detto spegnendo la sigaretta nel posacenere e riposizionandosi meglio la sciarpa sull’orlo del seno, “farai tutto senza neppure pensarci.”
Tra un paio di mesi sarò altrove aveva pensato Manuela. In questo buco ci sono solo di passaggio.

Da quanto tempo Maria lavorasse al centro lo sapeva solamente Maria. Manuela aveva trovato quel lavoro quasi per caso. Manuela cercava qualcosa di diverso. Cercava qualcosa tipo un posto da commessa, o da segretaria, o da hostess, ma era rimasta con tra le mani questa assunzione da centralinista. Era un lavoro facile che per un po’ poteva anche andare. Pagava regolarmente e non coinvolgeva troppo, e veniva svolto da seduti, con una tazza di caffè davanti. Il fidanzato di Manuela installava caldaie insieme al padre e al fratello e guadagnava bene. Un giorno si sarebbero trasferiti a vivere insieme e avrebbero messo su famiglia, e allora Manuela avrebbe anche potuto restare a casa, o avrebbe potuto trovare un lavoro part time in qualche negozio. Ma per ora, per quel momento, rispondere al telefono andava bene, andava benissimo, era un piccolo lusso.

Questo due anni prima. Adesso Manuela rispondeva al telefono mentre si faceva le unghie o sfogliava una rivista, e sceglieva una delle dieci risposte possibili prima ancora che la domanda avesse finito d’essere formulata. Aveva visto gente arrivare e andarsene, – studenti universitari fuori corso per lo più, tutti più giovani di lei – ma ne aveva visti anche alcuni restare. Il tempo era scivolato via velocemente. Quando se ne domandava la ragione si rispondeva che forse era perché col fidanzato continuavano a rimandare la decisione di trasferirsi a vivere insieme, e lei aveva comunque bisogno di un’entrata. O forse la ragione era che quando tutto diviene troppo facile, non si trovano più motivi sufficienti a cercare qualcosa di differente da quello che si ha.
Due anni. E a parte il colore delle unghie nulla era davvero cambiato.
“Mi dica.”
Problema connessione. Capitolo due, paragrafo uno.
Il problema ‘connessione’ si risolve in quattro differenti tipologie di domande a cui si può rispondere con due differenti tipologie di risposte. La connessione c’è/la connessione non c’è. Ognuna di queste due opzioni rimanda a sua volta a quattro differenti possibilità. Tutto scritto nel manuale. Tutto spiegato. Il manuale, Manuela lo teneva chiuso da più di un anno.
“Sto ancora aspettando di avere una connessione” dice la voce.
“Mi darebbe per cortesia il suo nome?” Cortesia, ecco la parola. Al corso d’aggiornamento d’inizio anno lo avevano ripetuto più volte, lo avevano addirittura imposto come prassi. Bisognava usare sempre la parola cortesia, anche quando lo si stava mettendo nel culo. Bé, ecco, ‘mettendo nel culo’ il responsabile del personale non l’aveva mai detto, ma a tutti era parso chiaro fin dall’inizio che a quello si riferiva.
“Vedo dal computer che i nostri tecnici sono già venuti” dice Manuela. E intanto pensa ‘nostri, come se sapessi chi sono.’
“Sì, un mese e mezzo fa. Hanno detto che c’era un problema di linea con telecom e che l’avrebbero fatto risolvere.”
‘Questa è facile facile’ pensa Manuela. La maggior parte delle chiamate riguardavano sempre il medesimo problema. “Esatto. Purtroppo non è più nostra competenza. Se vuole mando un sollecito a telecom.” Brava. Un sollecito. Altra parolina magica. “Mi adopero subito per inviarlo.”
“Ascolti” dice la voce. “Questa storia me l’ha già raccontata la sua collega un mese fa. A marzo ho chiamato per avere un contratto, i vostri addetti sono venuti nel giro di ventiquattrore. Mi hanno detto che ci sarebbero voluti dieci giorni, senza alcun tipo di problema. Ho firmato il contratto. Il tecnico è arrivavo dopo tre settimane, ha dato un’occhiata in giro e mi ha detto che c’era un problema di linea che riguardava la telecom… di che cavolo di sollecito stiamo parlando? Dalla mia prima chiamata sono passati quattro mesi…”
Tipico esempio di scorbutico pensa Manuela. Quello che ne ha avuto abbastanza. E che adesso è l’ora di finirla. Pagina 42. Riga 24. Vedi anche: ‘essere gentili ma fermi.’ Vedi anche: ‘ricordarsi di chi ha il coltello dalla parte del manico.’
“Guardi” dice lei, “io sto facendo tutto il possibile per aiutarla.”
In momenti come questi a Manuela torna sempre in mente Maria. Non capita spesso, ma alle volte succede. Succede quando si trova con la sigaretta accesa a dare istruzioni a qualcuno che è appena arrivato, o quando come in questo caso la strategia ‘metterlo nel culo con cortesia’ fatica a dare i frutti sperati.
Ma Maria ha smesso di presentarsi al lavoro da più di un anno. All’inizio è mancata solamente per qualche giorno. Poi ha preso due settimane. ‘Malattia’ hanno mormorato le voci attorno al posacenere. Le settimane sono passate. Sono divenute mesi. Qualcun altro si è seduto al suo posto e ha indossato la sua auricolare. Di Maria non si è saputo più nulla. Nessuno che avesse il suo numero di cellulare o che sapesse dove abitava.
“Ascolti. Abbia pazienza. Come si chiama lei? Anzi, ti do del tu. Come ti chiami?”
Manuela smette di farsi le unghie. Il nome lo ha già detto all’inizio, insieme al numero d’operatrice. E quella domanda le ha fatto perdere la concentrazione.
“Manuela, operatrice…”
“Bene Manuela ascoltami. Lascia perdere il numero d’operatrice. Ascoltami bene. Dove sei seduta?”
“Scusi, ma” dice lei tirandosi su sulla sedia. “Ma non credo che…”
“Scusami anche tu Manuela” la interrompe lui, calmo. “È solo una domanda. Ho risposto alle tue no? Adesso è il mio turno. La telefonata è registrata giusto?, lo hanno detto all’inizio, prima ancora che tu rispondessi, non c’è nulla di cui devi preoccuparti. Per cortesia allora, Manuela, dove sei seduta?
Lei trattiene il respiro. “Alla mia postazione…” dice.
“Postazione non significa un bel nulla, abbi pazienza. Io non sono mica lì. Te lo chiedo per cortesia. Descrivimi, per favore, il luogo dove sei.”
Manuela considera la domanda.
“È una stanza piuttosto grande, senza finestre, con molti operatori dentro. Ognuno ha un’auricolare e una piccola scrivania davanti, ci sono separé a dividerci, ma non ovunque.”
“Bene Manuela, vai avanti, stai andando benissimo. E come sono questi separé?”
Lei si guarda attorno. “Sono color panna, direi. Di plastica, o compensato. Quel materiale che si usa in genere per i separé…”
“Ok. E tutti stanno parlando al telefono giusto? Tutta questa gente, i tuoi colleghi intendo dire, tutti al telefono.”
“Credo di sì” dice Manuela. “Sì.”
“Allora, dimmi qualcosa di più di questo posto, il posto in cui al momento ti trovi. Dimmi se ti piace il posto in cui al momento ti trovi Manuela.” E tace un istante. “Non puoi rispondere, naturalmente, la telefonata è registrata. Ma volevo chiedertelo comunque. Perché vedi Manuela, a me non piace il luogo dove al momento mi trovo. Sono in un posto dove non vorrei essere, e ci sono con una persona che è la più importante della mia vita e che a sua volta non vorrebbe essere dove ci troviamo. È un po’ complicato da spiegare, ma credimi, se potessimo chiudere gli occhi e riaprirli e riapparire in un altro luogo, adesso, lo faremmo. Sei innamorata Manuela?” Lascia passare un altro istante, più lungo, questa volta. “Lo so che ti sembrerà assurdo. Ma questa connessione è una delle poche cose che può aiutare me e la persona che amo a stare nel luogo in cui al momento ci troviamo. È una di quelle poche cose che può salvarci.” Tace un altro istante. “Tutto molto tragico lo so. Tutto molto, esageratamente tragico. Alle volte mi viene quasi da ridere quando penso a quanto esageratamente tragica tutta questa situazione sia. Eppure sono convinto, ne sono sicuro, che lì dalla tua postazione, davanti al tuo separé color panna, con la tua auricolare indosso e i tuoi colleghi intorno a parlare con qualcun’altro al telefono, sono sicuro che tu capisci di cosa sto parlando.”
La voce non aggiunge più nulla.
Manuela sente passare un momento, poi un altro, poi un altro ancora.
Ha ancora la lima per le unghie in mano. Se la rigira tra l’indice e il pollice quasi senza sollevarla dalla superficie del tavolo.
“Capisco” dice infine, “infatti,” mormora. “Credo di capire.”
Ragiona. Considera il manuale e lo schedario, in un angolo.
“Il fatto” dice, “è che purtroppo tutto quello che posso fare io” continua, “è inviare un sollecito alla telecom.”
“Lo so.” Riprende la voce. “Lo so, Manuela. Ed è per questo che continueremo a restare dove siamo, tu e la tua auricolare, io e la mia connessione.”
La voce si ferma. Poi riprende.
“Come già ho detto” dice, per poi chiudere la comunicazione, “tutto molto, esageratamente tragico.”



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