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Tutto parla di te di A. Marazzi

Creato il 13 aprile 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Sarà il suo primo lungometraggio di finzione, terzo capitolo di un’ideale trilogia sulle donne costruita attraverso album di famiglia, filmini Super 8, interviste, immagini in bianco e nero, ricordi impressi sulla pellicola sbiadita dal tempo. Con “Tutto parla di te”, distribuito in sala dal prossimo 11 aprile da Bim, Alina Marazzi conclude un trittico cominciato con “Un’ora sola ti vorrei” (2002) e proseguito con “Vogliamo anche le rose” (2007), e qui realizza una straordinaria operazione di cinema verità continuando ad attingere a piene mani da quel background documentaristico che l’ha nutrita, avvicinata al cinema e fatta crescere. Dal ritratto della madre morta suicida nell’esordio di dieci anni fa alle madri tormentate e afflitte dalla depressione post- partum, assalite dai sensi di colpa, schive e sofferenti di “Tutto parla di te” il cammino è stato lungo, intenso e soprattutto intimo e personale.
Era con suo figlio appena nato quando una donna le si avvicinò dicendole: “Che belli i bambini quando sono in braccio agli altri”. Alina è partita da qui: “Una frase all’apparenza banale che mi fece riflettere sulla conflittualità che può manifestarsi nel rapporto madre-figlio.
Ogni madre conosce quel sentimento in bilico tra l’amore e il rifiuto per il proprio bambino. Una tensione dolorosa da vivere e difficile da confessare, perché va contro il senso comune di quel legame primordiale. Con questo film ho voluto raccontare l’ambivalenza del sentimento materno e la fatica che si fa ancora oggi ad accettarla e affrontarla. Per restituire la complessità di questo sentimento ho voluto integrare la fiction con materiali diversi: filmati d’archivio, animazioni, elementi documentari, con i quali evocare i vari livelli emotivi che questa tensione muove in chi la vive”. Tutto parla di te” (il cui titolo originario era “Baby Blues”, come l’espressione coniata per definire la depressione post-partum) esplora il lato più oscuro della maternità, ne analizza disagi e ‘non detti’ e sdogana così un tabù che l’immaginario collettivo ha sempre alimentato in virtù di antichi retaggi culturali; il film si rivela un racconto affidato ancora una volta alla potenza emozionale delle immagini. La Marazzi sperimenta in questo caso un elegante cocktail di finzione e materiali d’archivio come: video-interviste a madri che si sono rivolte a associazioni di sostegno alla maternità, foto e filmati di famiglia, ricordi privati, immagini che prendono vita in un’animazione a passo uno e la fotografia d’autore. “Nella fase di ideazione e di costruzione dei diversi piani narrativi del film, – ha rivelato la regista – sono stata ispirata dalle fotografie di Francesca Woodman che colgono figure fantasmatiche di donne intrappolate tra le mura spoglie di case abbandonate”.
Proprio ‘le immagini da album dei ricordi’ hanno un ruolo fondamentale nella ricostruzione della memoria della protagonista del film, l’ambigua Pauline (Charlotte Rampling), che dopo molti anni torna nella sua città natale, Torino, per una ricerca sui problemi della maternità nel Centro diretto da Angela. L’incontro con la giovane Emma (Elena Radonicich), madre problematica e sfuggente, la costringerà a un viaggio alla scoperta di sé e del proprio tragico passato.
Memoria e identità. Sembra siano stati gli ingredienti magici che hanno convinto la Rampling a entrare nelle vesti della muta e dimessa Pauline.
Mi affascinava il rapporto che il mio personaggio ha con il materiale di archivio e quindi con la memoria, e il suo modo di ricostruirla attraverso questo repertorio di ricordi. – raccontava l’attrice al Festival Internazionale del Film di Roma dello scorso anno, dove il film veniva presentato nella sezione Cinema XXI – Mi piaceva l’idea di lavorare sul film in questo modo; l’aspetto che mi interessa di più è sapere che impatto può avere la memoria sulla vita quotidiana di una persona”.
Chissà che effetto farà vedere l’attrice francese, consegnata agli annali del cinema dalle immagini hot de “Il portiere di notte”, recitare per la prima volta in italiano.
Ma per Alina, che le ha cucito questo personaggio su misura, questo e altro: “perché lei guarda il mondo in una determinata maniera e ti consente di far emergere quello che è dentro di te e che è ancora ignoto agli occhi degli altri”.

di Elisabetta Bartucca

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