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Tutto Quello che Avreste Voluto Sapere sul Gruppo Poligrafici Editore

Creato il 11 giugno 2015 da Pedroelrey

Con que­sta quinta pun­tata dedi­cata ai bilanci di Poli­gra­fici Edi­tore [la hol­ding che pub­blica QN Quo­ti­diano Nazio­nale, Il Giorno, La Nazione, il Resto del Car­lino, oltre a una serie di perio­dici] chiu­diamo il primo ciclo di ana­lisi sui gruppi edi­to­riali quo­tati in Borsa e pro­prie­tari di almeno un quo­ti­diano. Le altre pun­tate sono state dedi­cate a Rcs, Espresso-Repubblica, Gruppo 24 Ore e Cal­ta­gi­rone edi­tore.

Ricavi

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Il gra­fico dei ricavi di Poli­gra­fici Edi­tore pre­senta un anda­mento abba­stanza diverso dagli altri presi in ana­lisi: se quelli dise­gna­vano un para­bola ascen­dente fino alle annua­lità 2007/2008 e poi in discesa più o meno repen­tina fino ai giorni nostri quella del gruppo Poli­gra­fici potrebbe essere para­go­nata a una scala con una prima, breve fase di ascesa e alcuni momenti di sta­bi­lità sostan­zial­mente in peren­ne­mente in declino. I ricavi mas­simi regi­strati, nel periodo preso in con­si­de­ra­zione, sono rap­pre­sen­tati dai 340 milioni di euro del 2000, poi un anda­mento in sostan­ziale discesa anche se alcune annua­lità pre­sen­tano lievi riprese (com­presa anche l’ultima, il 2014 in cre­scita di 18 milioni rispetto al 2013). Il dif­fe­ren­ziale tra fat­tu­rato mas­simo (anno 2000, come detto) e quello del 2014 è rap­pre­sen­tato da un –133 milioni pari a una fles­sione del 39%: ovvero in tre lustri i ricavi sono dimi­nuiti di 2/5.

Chi è il “col­pe­vole” di que­sta fles­sione? Qui non è nem­meno neces­sa­rio para­me­trare il valore delle sin­gole voci di ricavo con la fles­sione totale per capire che la crisi della pub­bli­cità è pra­ti­ca­mente l’unica vera arte­fice di que­sta discesa [come del resto per Cal­ta­gi­rone, l’altro gruppo edi­to­riale a forte voca­zione locale]. Se infatti guar­diamo alle ultime cin­que annua­lità, la fles­sione dei ricavi pub­bli­ci­tari  [41,7 milioni], è addi­rit­tura supe­riore ai –33 milioni dei ricavi totali. Il dif­fu­sio­nale regge molto bene: i –5,7 milioni – dai 94,2 milioni del 2010 agli 87,8 del 2014 – sono una fles­sione minima vista l’emorragia di copie ven­dute di cui sof­fre l’editoria ita­liana. Ricavi dif­fu­sio­nali con­fer­mano la loro sta­bi­lità anche nelle ultime tre annua­lità con valori  sta­bili a circa 88 milioni. Aumen­tano gli “altri ricavi” che alle­viano così, nel periodo preso in con­si­de­ra­zione, la fles­sione dei ricavi con un +14,5 milioni otte­nuto gra­zie a diver­si­fi­ca­zione delle atti­vità e ser­vizi a terzi, ma anche a sostan­ziose plu­sva­lenze ope­rate dal gruppo [in par­ti­co­lare quella di 20 milioni rea­liz­zata nel 2014].

La crisi della pub­bli­cità

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Il valore dei ricavi pub­bli­ci­tari dal 2010 al 2014  è dimi­nuito del 42%, guar­dando il gra­fico delle tre voci di ricavo vediamo come la “colonna” della pub­bli­cità – che svetta più alta delle altre due nel 2010 – cali e fini­sca quasi per dimez­zarsi men­tre le altre due riman­gono fisse [dif­fu­sio­nale] o addi­rit­tura aumen­tino [altri ricavi].

La Spe, la con­ces­sio­na­ria della pub­bli­cità del gruppo, che dallo scorso anno ha cam­biato nome in SpeeD [dove la D sta per digi­tale], dal 2011 regi­stra ogni anno una per­dita di bilan­cio. Che la strut­tura pre­po­sta a rac­co­gliere i ricavi da pub­bli­cità invece di rap­pre­sen­tare per il gruppo una risorsa sia nei fatti un costo è, ogget­ti­va­mente, un con­tro­senso che mette in tutta la sua evi­denza il limite del modello di busi­ness sul quale oggi si basano molte delle testate tra­di­zio­nali (la stra­grande mag­gio­ranza in Ita­lia, il “caso” Spe non è certo iso­lato). Tirate le somme di fine anno potremmo addi­rit­tura arri­vare a soste­nere che se negli ultimi quat­tro anni le testate di Poli­gra­fici non si fos­sero date la pena di rac­co­gliere pub­bli­cità e fos­sero uscite senza alcun tipo di adver­ti­se­ment il gruppo ne avrebbe bene­fi­ciato di circa 10 milioni [la somma delle per­dite regi­strate da Spe dal 2011 al 2014]. D’accordo la nostra è deci­sa­mente una let­tura bru­tale di que­sti numeri [i numeri quelli sono, però] e certo le scelte stra­te­gi­che pos­sono essere det­tate da altri fat­tori, da altre esi­genze, ma è evi­dente che un ripen­sa­mento di que­ste stra­te­gie è quanto mai neces­sa­rio quanto urgente per il gruppo [e nella rela­zione sul primo tri­me­stre 2015 la ten­denza è ancora con­fer­mata con fles­sioni sia rispetto al primo tri­me­stre 2013 che al primo tri­me­stre 2014].

Se la D della con­ces­sio­na­ria sta, come detto, per digi­tale, l’idea che se ne ha di aggre­gare con­te­nuti terzi sotto l’ombrello di Quotidiano.net con un peso di due terzi del totale dell’audience, spiace doverlo con­sta­tare, non è certo un esem­pio di trasparenza.

Taglio ai costi
I costi ope­ra­tivi del gruppo si sono man­te­nuti costanti, il taglio del 14% dal 2010 al 2014 non rap­pre­senta certo un taglio par­ti­co­lar­mente pesante, e nelle ultime tre annua­lità i costi ope­ra­tivi riman­gono sostan­zial­mente inva­riati a circa 100 milioni di euro.

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Più deciso il taglio ai costi del lavoro: nelle ultime cin­que annua­lità i costi rela­tivi al pesro­nale sono dimi­nuiti del 22% dai 102 milioni del 2010 ai 79,15 del 2014  (valori com­pren­sivi degli incen­tivi all’esodo e pre­pen­sio­na­menti). Il per­so­nale medio è pas­sato dai 1.139 dipen­denti a tempo inde­ter­mi­nato del 2010 ai 936 del 2014 con una taglio pari a 203 dipen­denti (-18%). I gior­na­li­sti sono pas­sati dai 501 del 2010 ai 445 del 2014 ovvero un taglio dell’11%. Un taglio al per­so­nale con­fer­mato anche nell’ultima rela­zione tri­me­strale che vede un ulte­riore calo dell’organico medio a fine marzo 2015 di 31 dipen­denti rispetto a quelli del dicem­bre 2014. Il costo medio per dipen­dente è pas­sato dai 89.398 euro del 2010 ai 84.560 del 2014.

L’ad del gruppo, Andrea Rif­fe­ser Monti, all’approvazione del bilan­cio 2014, ha indi­cato come punti chiave delle stra­te­gie per il 2015 il con­te­ni­mento dei costi, incre­mento dei ricavi pub­bli­ci­tari, rin­novo della gra­fica e dei con­te­nuti edi­to­riali e inve­sti­menti su Inter­net. Se l’azione sul con­te­ni­mento dei costi, ed in par­ti­co­lare su quelli rela­tivi al costo del lavoro, risulta evi­dente degli altri, anche alla luce della tri­me­strale 2015, non vi è, a metà anno ormai, con­creta evidenza.

Se, come emerge con chia­rezza dalla nostra ana­lisi, i ricavi dif­fu­sio­nali sono il cuore delle reve­nues del gruppo pro­ba­bil­mente l’accento con­ti­nua­mente posto, e le pres­sioni fatte, dai ver­tici del gruppo sulla libe­ra­liz­za­zione della ven­dita non sono la strada cor­retta, sia per­chè i dati dimo­strano che un amplia­mento della distri­bu­zione, sia esso attra­verso la libe­ra­liz­za­zione degli eser­cizi com­mer­ciali auto­riz­zati alla ven­dita di gior­nali che attra­verso altri canali quali il digi­tale, non è con­di­zione suf­fi­ciente di per se stessa a garan­tire un aumento delle ven­dite, che, banal­mente, per lo scarso senso tat­tico di opporsi, di “fare la guerra” a chi gli garan­ti­sce red­dito: le edicole.

Se però, come dichia­rato, si ritiene che i ricavi pub­bli­ci­tari pos­sano essere il dri­ver dell’incremento delle reve­nues del gruppo, appare dav­vero insen­sata l’insistenza, ormai dal 2009, nel rego­la­men­tare la pre­senza dei gior­nali nel locali pub­blici. Qual­cuno, cor­te­se­mente, spie­ghi  al numero uno della Poli­gra­fici Edi­to­riale che dei gior­nali la sua con­ces­sio­na­ria vende le rea­der­ship, non le copie; forse non gli è chiaro, a quanto pare.

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[Nota meto­do­lo­gica: i valori delle sin­gole voci, dove non spe­ci­fi­cato, sono quelli pun­tuali indi­cati anno per anno nei rela­tivi bilanci e non quelli ride­ter­mi­nati su base omo­ge­nea o riclas­si­fi­cati nei bilanci suc­ces­sivi (per essere più chiari: ad esem­pio, la voce ricavi del 2012 è quella indi­cata nel bilan­cio 2012 non quella even­tual­mente ride­ter­mi­nata suvc­ces­si­va­mente nel bilan­cio 2013)].

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