Per farsi un’idea sulla vicenda c’è solo quanto sta nella sentenza che condanna Marco Pannella a risarcire con 250.000 euro una segretaria che per dodici anni ha fatto lavorare dieci ore al giorno, sei giorni a settimana, senza concederle ferie, omettendo il versamento dei dovuti contributi assicurativi e previdenziali, e pagandola in nero. Te lo aspetteresti dal cinese che ha una fabbrichetta clandestina nel sottoscala di un condominio della periferia romana, non da uno che sta in perenne posa da campione della legalità. Avrai letto male, ti dici, si tratterà di un mozzo che lavorava sullo yacht di Briatore, di una colf che lavorava per la Santanché, del portaborse di Scilipoti. Leggi meglio: si tratta proprio di una che era segretaria di Pannella, leggi che è stata licenziata in tronco appena ha chiesto che la sua posizione fosse regolarizzata a norma di legge. Possibile? Non è possibile, pensi, dev’essersi trattato di un errore giudiziario. Sentiamo cosa dice il condannato, dici, senza dubbio vorrà chiarire…Macché, Marco Pannella tace. Tace pure il suo cerchio magico, che d’altronde parla solo a comando. Alla faccia dell’indipendenza del giornalista dal suo editore, tace pure Radio Radicale, che di solito è prontissima a rilanciare, e con grande enfasi, anche il più fuggevole inciso che nel corpo di una breve a pagina 36 lo citi solo di striscio. Macché, tre articoloni su la Repubblica, su Libero e su Il Tempo, e sono articoli che lo smerdano di brutto, ma Stampa & Regime li liquida con una laconica segnalazione in coda, meno di 30 secondi netti in tutto. Allora aspetti la consueta conversazione domenicale tra Marco Pannella e Massimo Bordin, pensi che almeno lì non si potrà fare a meno di commentare la faccenda. E invece niente, si rumina di tutto, ma la sentenza della Sezione lavoro e previdenza della Corte di appello di Roma che riconosce fondate le ragioni di Giuseppina Torelli non è in scaletta. D’altronde, tra i fedelissimi non è partita la solita gara a chi sappia difendere meglio l’indifendibile – stavolta non si azzarda a farlo neppure il più cretino – segno che la consegna è ferrea, ed è quella del silenzio, mentre i pochi imbarazzati balbettii sui social network dell’area radicale si spengono subito nel niente.Tutto vero, dunque. Un po’ triste, per chi ancora pensava che «tutti tranne i radicali». Per chi si stupiva che ci fosse ancora chi lo pensasse davvero, invece, è divertente.
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Per farsi un’idea sulla vicenda c’è solo quanto sta nella sentenza che condanna Marco Pannella a risarcire con 250.000 euro una segretaria che per dodici anni ha fatto lavorare dieci ore al giorno, sei giorni a settimana, senza concederle ferie, omettendo il versamento dei dovuti contributi assicurativi e previdenziali, e pagandola in nero. Te lo aspetteresti dal cinese che ha una fabbrichetta clandestina nel sottoscala di un condominio della periferia romana, non da uno che sta in perenne posa da campione della legalità. Avrai letto male, ti dici, si tratterà di un mozzo che lavorava sullo yacht di Briatore, di una colf che lavorava per la Santanché, del portaborse di Scilipoti. Leggi meglio: si tratta proprio di una che era segretaria di Pannella, leggi che è stata licenziata in tronco appena ha chiesto che la sua posizione fosse regolarizzata a norma di legge. Possibile? Non è possibile, pensi, dev’essersi trattato di un errore giudiziario. Sentiamo cosa dice il condannato, dici, senza dubbio vorrà chiarire…Macché, Marco Pannella tace. Tace pure il suo cerchio magico, che d’altronde parla solo a comando. Alla faccia dell’indipendenza del giornalista dal suo editore, tace pure Radio Radicale, che di solito è prontissima a rilanciare, e con grande enfasi, anche il più fuggevole inciso che nel corpo di una breve a pagina 36 lo citi solo di striscio. Macché, tre articoloni su la Repubblica, su Libero e su Il Tempo, e sono articoli che lo smerdano di brutto, ma Stampa & Regime li liquida con una laconica segnalazione in coda, meno di 30 secondi netti in tutto. Allora aspetti la consueta conversazione domenicale tra Marco Pannella e Massimo Bordin, pensi che almeno lì non si potrà fare a meno di commentare la faccenda. E invece niente, si rumina di tutto, ma la sentenza della Sezione lavoro e previdenza della Corte di appello di Roma che riconosce fondate le ragioni di Giuseppina Torelli non è in scaletta. D’altronde, tra i fedelissimi non è partita la solita gara a chi sappia difendere meglio l’indifendibile – stavolta non si azzarda a farlo neppure il più cretino – segno che la consegna è ferrea, ed è quella del silenzio, mentre i pochi imbarazzati balbettii sui social network dell’area radicale si spengono subito nel niente.Tutto vero, dunque. Un po’ triste, per chi ancora pensava che «tutti tranne i radicali». Per chi si stupiva che ci fosse ancora chi lo pensasse davvero, invece, è divertente.
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