Magazine Cinema
6.5 su 10
Su La7 alle 21,10
"La duchessa" è la quintessenza del film in costume, almeno nell'ottica che, da sempre, si attribuisce al sottogenere. E', in questo senso, perfettamente allineato alle storie delle varie regine, principesse, dame che hanno attraversato, realmente o meno, la storia delle diverse monarchie nazionali. Il personaggio di Georgiana Spencer non può esimersi da una rappresentazione cinematografica, per via delle caratteristiche del tutto inusuali, emancipate, della sua personalità, e soprattutto per la drammaticità della sua storia. "La duchessa" non è altro che un ritratto composto di un'ennesima "principessa triste", che viene analizzata come un'eroina romantica, votata alla sofferenza, incapace di unire "ideale" a "reale", alla ricerca costante della "libertà", nelle sue manifestazioni più diverse, anche di avallaggio politico (siamo in fase prerivoluzionaria). E la sua storia diventa insieme proto-femminista, ma ancorata al tradizionalismo. Keira Knightley riesce a dare il suo meglio nel genere, e concede a Georgiana una caratura interpretativa superiore allo standard, senza eccellere. Meno riuscito, anche per scrittura del carattere, il villain del film, marito della Spencer e Duca del Devonshire, interpretato da un Ralph Fiennes imbolsito e poco coinvolgente anche nei momenti più drammatici, di una freddezza crudele impossibile da comprendere. Altri caratteri sono Grey, futuro Primo Ministro Inglese, interpretato senza infamia da Dominic Cooper, mentre più interessante risulta essere l'altra donna forte, la Foster, nelle mani di Hayley Atwell. Charlotte Rampling, nei panni della madre di Georgiana, è piuttosto limitata nell'esposizione di sfumature da una sceneggiatura che la isola completamente dal contesto pregnante. Un film di mestiere, quindi, che usa poco ingegno, affidandosi ad una sceneggiatura prevedibile e, per certi versi, piatta. Il film procede, tra l'eleganza naturale dei costumi (splendidi) di Michael O'Connor in modo abbastanza impersonale e la regia firmata Saul Bibb è forse responsabile della mancanza di inventiva. L'opera trova il suo merito nel soggetto e in caratteristiche tipiche del prodotto in costume, come l'accurata ricostruzione tecnica e scenografica e un senso della misura che lo salva dall'enfatizzazione pacchiana.
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