C’era una volta, sul pianeta Terra, l’amore in forma di predatore carnivoro rettileo in Louboutin. Lo amammo. Non ricambiò. Ci inseguì. Fuggimmo. Ci raggiunse. Implorammo. Di amarci. Ci divorò. Ci piacque. Ci sputò.
Fu solito divorare partner saltuari erbivori noi compresi, l’algido mastodonte. Fece penetrare gomiti, ginocchia e anche nelle insenature della chaise longue. Quando ci sputò non avremmo voluto l’avesse fatto. Lo implorammo di inghiottirci nuovamente. Di masticarci. Di deglutirci. Tuttavia, sputati che ci ebbe, rimanemmo tali. Ci sentimmo sputati e lo fummo.
Figlio privilegiato del Cretaceo superiore, sopravvisse mimetizzandosi entro breafing, vernissage e raccolte-fondi filantropiche. Ignorato dalle glaciazioni e dalle desertificazioni, così come dagli aggressivi meteoriti, causa tradizionale d’estinzione, saltellò tra i continenti prima che la deriva di questi precludesse il raid. Fece scempio di primati eletto dall’evoluzione veicolo d’estinzione altrui.
Scoprimmo allora che il mirino possiede due lati. Scoprimmo allora di vivere dal lato meno favorevole del mirino. Guardando attraverso il mirino dal lato meno favorevole del mirino verso il lato più favorevole del mirino, imparammo come sorride chi prende la mira.
Sfoggiò look innovativo che incontra plauso e apprezzamento nei consessi cooptato presso cui è. Qualsiasi abito scartasse finì invariabilmente al MOMA ed un’ala tutta per lui fu riservata e farcita come si deve.
Gli edificarono un tabernacolo presso Manhattan che visitò e apprezzò e abitò. Vi rinchiuse ottocento volontari cui spettava soddisfarlo centoventigiornatedisodoma-like. Vi si partecipò mediante casting. Vi si partecipò chiunque ritenesse di possedere charme, fisique du role, suicidal tendencies.
L’amammo in configurazioni euclidee e non-euclidee. Fluì dunque lo sperma negli esofagi e nei retti. Fluì copioso a torrenti simil Val Veny e Val Ferret. Fluì irrorando terreni infertili e scioccando schiere di agrimensori scrupolosi nonostante attoniti fossero.
Ai margini della sua piscina di endorfine, sorseggia cocktails endocrini, frullati di larve di oziorrinco, sapiens-sapiens juice, frappè stercorari, long-drink alle benzodiazepine. Il tutto servito nell’Old-Fashioned o nel tumbler grande, solo saltuariamente nel cranio di un notaio di Copenhagen. L’happy-hour è di rito.
Hopeful Monster per antonomasia, si evolve fottendo. Di fottere non si stufa e a fottere sta bene. Noi meno ma di essere fottuti chiediamo ancora e con voce impostata, rispettado l’ortoepia, evitando cacofonia, privilegiando palindromi e figure retoriche che nei bassorilievi di Moenjio Daro ispirarono sodomiti mai casti, né paghi.
Le collocai la Loboutin presso il piede. Si stupì che ora le imputassi il femminile dopo averle assegnato il maschile lungo le prime nove strofe del componimento. Dissi di rivelarla. Calzò lo scrigno dalla suola purpurea. Mi sciolinai la lingua e la discesa libera di Kitzbuhel impallidì a scorgere il disegno delle mie volute, sulla tomaia infinita e lasciva che attraversai leccando.
Egli annienta solo apparendo. Egli mostra e cela con il medesimo gesto e l’immobilità se vuole. Egli divora rimanendo distante. Egli irride allle leggi della scienza quando cammina ove cammina e come lo fa. Egli è ciò che desideriamo quando siamo vivi. Egli è il Tyrannosaurus sex.
Egli è femmina. Si è detto. Noi no. Quindi sopravviverà. Noi? No.