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Uccidersi, da dottorandi senza futuro

Creato il 15 settembre 2010 da Alessandro @AleTrasforini
UCCIDERSI, DA DOTTORANDI SENZA FUTURO Mi sono sempre chiesto se le eccessive conoscenze sul mondo potessero, in un qualche modo, rendere l'uomo per qualche verso più debole. Cercare di conoscere e faticare per il proprio futuro in un Paese che, per colpa di troppi, non ne ha può fare male. Molto male. Può spingere in logiche mentali pericolose, distorte. Investire parte della propria esistenza in una formazione universitaria comporta sacrifici, anni di studio aggiunti che vanno a sommarsi a quelli basilari per essere considerati, ad errata ragione, "qualcuno" nel mondo del lavoro. Studiare sui libri per poi coltivare sogni, ambizioni e speranze. L'Italia è una terra che ha da sempre avuto in formazione e cultura due delle sue prerogative più pesanti ed essenziali. Giunti all'oggi, molte lauree e troppi attestati non contano più niente. Ci si ritrova così, con qualche pugno di mosche in mano, in compagnia di pergamene ricche d'inchiostro e vuote di significati e prospettive. Compiendo tagli con forche caudine su istruzione, università e ricerca si distrugge anche il futuro di chi rappresenta il futuro per l'Italia. Le nuove generazioni sono senza volto di prospettiva, senza fiducia verso chi dovrebbe metterli in condizione di lottare per migliorare tutto ciò che non va o che potrebbe andare meglio. In una società dove lo studio perderà sempre più peso specifico, pesano oltre 11miliardi di Euro in tagli. La formazione è una prerogativa, quasi una scelta opzionale sconsigliata per il nostro futuro. Nonostante tutto questo, provo nel mio piccolo a lottare. Lottare con tutte le mie forze, giorno per giorno. Denunciando ciò che mi fa schifo, scrivendo i miei pensieri su un mondo che dovrebbe rendersi pienamente consapevole di ciò che può ancora fare per salvarsi dal baratro. Lotto, con molte forze in più, quando leggo di certi morti che, silenziosi, si muovono in questa orrenda Italia. Ho saputo del dottorando Norman Zarcone, 27enne palermitano morto suicida nell'Università di Palermo. Su un quaderno d'appunti ha lasciato qualche sua ultima, ed intima, riflessione: "Perchè la libertà di pensieri è anche libertà di morire." Libero di morire, appunto. Si è gettato nel vuoto, da una finestra della facoltà di Lettere dell'Università palermitana. Aveva lasciato detto agli amici di ogni giorno che si sarebbe assentato per una sigaretta. Un'ultima sigaretta, appunto. Senza troppi riferimenti allo Zeno di Italo Svevo. Norman Zancone, due lauree maturate in pochissimo tempo: Filosofia della conoscenza e della comunicazione e Filosofia e storia delle idee. Entrambe conseguite con un voto pari a 110e lode, ovviamente. Attualmente stava svolgendo, senza dubbio grazie a meriti maturati e dimostrati, un dottorato di ricerca in Filosofia del linguaggio, senza alcuna borsa di sostegno economico. Morto così, senza una ragione e senza colpevoli apparenti. Nella realtà, purtroppo, il padre Claudio vede mandanti ben definiti; la morte del figlio è da lui definita, a tutti gli effetti, come "omicidio di Stato". Nel mare di parole possibili, meglio affidarsi direttamente a sue parole riportate in cronaca: "Me lo hanno ammazzato. [...] Un omicidio di Stato. [...] Lo avevano isolato, in tutti i modi gli avevano fatto capire che non c'era spazio per lui, il dottorato lo faceva senza borsa, perchè con borsa lo fanno solo i raccomandati. E'stato un gesto simbolico, ha scelto proprio la sua facoltà. [...] Filosofia e musica: questo era mio figlio." Un lavoro suppletivo da bagnino, svolto per apprendere l'essenziale etica del lavoro. Nel mentre, viveva. Viveva in una Palermo svuotata di futuro. "Era molto giù in questi giorni, si sentiva un fallito. Ma mi diceva di stare tranquillo, che tutto si sarebbe risolto. L'avevo visto consultare siti di università estere, guardava bandi per borse di studio, pensavo stesse valutando di andare via: non avrei mai creduto che..." Inaspettatamente, il peggio possibile si è verificato. Lasciatosi cadere, nel vuoto. Morto a 27 anni, con una mafia serpentina e sibillina come estremo mandante: "E' stato ucciso dalla mafia: ha mille volti la mafia, una di questa ha ucciso mio figlio." Morto, così, dietro logiche di baronato e compromessi veicolati al fallimento da tagli allucinanti fatti ad una delle colonne portanti dello Stato. Norman credeva in un determinato e diverso "altrove", ultimamente. Lo scriveva ad un amico, questo pensiero continuo che ha finito per dominarlo: "Compare, non so se ho capito tutto, poco o forse niente. Ma sto per fare una nuova esperienza, solo non potrò raccontarvene." Così scrivendo, ha scelto la sua nuova esperienza senza ritorno. Tutto attorno a questa morte, terra bruciata. Terra bruciata di lauree che, in un paese malato terminale, non hanno più peso specifico alcuno. Terra bruciata di vite che, ad anni di studio trascorsi, non vedono più la pesantezza del loro investimento riconosciuta. Tutto ciò svilisce e demolisce quelli che, rimasti qui, lottano per regalare un futuro a tutti quelli che verranno dopo. Terra bruciata, appunto. Con un senso di dubbio sull'aver capito tutto o niente dalla vita, questo giovane uomo ha preferito farla finita. Terra bruciata anche su quell'altrove che tanto cercava, appunto. In questo inferno c'è ancora molto da dire, e da fare. Rimboccarsi le maniche può aiutare, forse.

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