di Vincenzo Camporini
Stiamo vivendo giornate convulse ed altre ne vivremo nelle prossime settimane, perché la questione ucraina è destinata a diventare uno spartiacque storico oppure un vistoso ostacolo, superato il quale si aprono nuovi orizzonti.
Nonostante le apparenze, le azioni di Putin si spiegano come una difesa estrema di una visione geopolitica, come il tentativo di salvaguardare un ruolo di potenza egemonica globale, secondo criteri che in un Occidente post-moderno si ritengono relegati ai libri di storia.
La Russia di Putin non è solo l’erede concettuale dell’Unione Sovietica e continua ad essere il Paese più grande del mondo, in termini di superficie, che non vuole essere ridotto al ruolo di comprimario, schiacciato ad occidente e ad oriente da potenze che non riuscirà mai a percepire come amiche, anche perché consapevole delle sue insuperabili debolezze strutturali, dalla demografia al fatiscente quadro industriale, che non consentono alla dirigenza di Mosca di guardare con ottimismo alle decadi future.
Anche da questa consapevolezza nasce l’ansia di disporre intorno a sé di una fascia di Paesi legati da un vincolo che, a seconda del punto di vista, si può definire di amicizia o di vassallaggio e se alla fine del secolo scorso, in una fase di estrema debolezza, ha dovuto inghiottire il boccone amaro dell’adesione alla NATO dei Baltici, oggi, sull’onda di una forza finanziaria generata dalla rendita energetica e rassicurata da quella che percepisce come una crescente debolezza strutturale occidentale, sia intermini economici che militari, non è più disposta a subire quella che percepisce un’ulteriore erosione della propria area di sicurezza.
L’evoluzione politica interna dell’Ucraina ha fortemente alimentato le preoccupazioni russe, con una spaccatura tra due fazioni che si sarebbe dovuta evitare e le cui colpe possono essere equamente distribuite: da un lato chi sogna un’impossibile riunificazione con Mosca, percepita come grande madre e da cui dipende pesantemente ed assolutamente per le forniture energetiche, dall’altro chi invece guarda all’Occidente in modo esclusivo come a chi può prospettare un futuro di sviluppo e di apertura di mercati in grado di far rinascere un’economia ansimante. Due visioni percepite come confliggenti e mutuamente esclusive.
L’errore di entrambe le parti, Occidente e Russia, è stato quello di alimentare queste visioni senza cercare quella sintesi hegeliana che avrebbe potuto portare al superamento di queste opposte visioni ed è un errore alimentato dalle reciproche diffidenze, antiche di quasi un secolo e che è tempo di mettere da parte.
Non è obbligatorio che Kiev stia da una parte o dall’altra, ci deve essere sicuramente una via di mezzo che salvaguardi gli obiettivi a breve di entrambi e costituisca inoltre il fondamento di una collaborazione futura che è storicamente indispensabile, a fronte dell’emergere di culture e potenze la cui compatibilità con la visione del mondo che ci appartiene è dubbia e tutta da dimostrare.
Dal 2 al 4 aprile 2008 si tenne a Bucarest un vertice NATO in cui si promise a Georgia ed Ucraina che le porte per l’adesione si sarebbero presto aperte (e c’era chi avrebbe voluto l’immediata formalizzazione per le procedure di ingresso!): la reazione russa non si fece attendere, anche perché innescata da atteggiamenti discutibili della leadership georgiana e nella prima decade di agosto si consumò un breve conflitto con cui Mosca ritenne di avere salvaguardato i propri interessi nella regione. La Russia peraltro in quell’occasione dovette constatare che la propria macchina militare presentava gravi carenze con una prestazione operativa ben al di sotto delle aspettative, nonostante la pochezza dell’avversario: a titolo di esempio si può citare il fatto che una gran parte del munizionamento di caduta utilizzato dall’aeronautica russa (le stime vanno da oltre il 50% fino a quasi il 90%) non esplose per la pessima manutenzione delle spolette. La lezione fu ben appresa e oggi le Forze Armate russe godono di una grande attenzione da parte del vertice politico, che sta investendo in modo massiccio sia per l’ammodernamento dei mezzi, sia per innalzare il morale e il livello di disciplina delle proprie truppe.
Da questa esperienza sarebbe dovuto nascere un atteggiamento radicalmente diverso da parte dell’Occidente, non di appeasement, ma di superamento di una visione e di una conseguente politica di contrapposizione ed è illuminante l’articolo di qualche giorno fa di Kissinger sul Washington Post, che sollecita un approccio mirato ad attenuare le contrapposizioni interne all’Ucraina, mettendo da parte qualsiasi ipotesi di una sua adesione alla NATO, inevitabilmente percepita da Mosca come atto ostile, ma aprendo ad un rapporto più stretto con l’Unione Europea secondo uno schema che è stato definito da qualcuno di ‘finlandizzazione’ della politica di Kiev e che ha il potenziale di trasformare l’Ucraina da terreno di scontro della opposte ambizioni (interne ed esterne) a ponte ideale tra Occidente e Mosca, su cui costruire un rapporto basato sulla fiducia e non sulla diffidenza. Mi pare una visione sensata e fattibile su cui si deve investire, in modo che da questa partita si possa uscire con tutti vincitori.
* Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, è vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI)
Photo credits: Alexey Furman/EPA
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