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UCRAINA: Gli italiani di Crimea tra Mosca e Kiev. Cosa decideranno?

Creato il 07 marzo 2014 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 7 marzo 2014 in Minoranze, Russie, Slider, Ucraina with 1 Comment
di Daryush Sabaghi

Cerimonia Sul Pontile Di Kerch Ridotta

Reportage da Kerch, Crimea

Lascio alle mie spalle Kiev, con le sue bandiere ucraine sventolanti tra il fumo dei bocchettoni delle stufe e di quello che è stato il Maidan, diretto in Crimea. Il viaggio in treno dura quasi 24 ore, minuto più minuto meno. Lì, in quella penisola messa in subbuglio dalle truppe e dai tank russi, a Kerch, nella parte orientale della penisola, affacciata allo stretto che porta il suo nome, si è radicata una piccola comunità italiana di origine pugliese, erede delle deportazioni subite durante la seconda guerra mondiale dal regime sovietico.

Alla stazione mi viene a prendere Igor, nato e vissuto a Kerch. Non ha origini italiane: è sposato però con una ragazza di origine italiana che le ha trasmesso la passione per la cultura e per tutto ciò che è Italia. Collabora con l’associazione ed è stato due volte nel nostro Paese, a Perugia e a Roma.

L’associazione dista solo un centinaio di metri dalla stazione ferroviaria di Kerch, ma in quei 100 metri i piccoli rigagnoli tra un cortile e un altro, l’erba giallastra sporcata da orme infangate e mossa dal lieve vento e da qualche gatto randagio, i colbacchi e i cappotti di qualche signore sorpreso fuori casa e le anziane donne senza tempo, iniettano nelle pupille quel bucolico scorcio di storia che fu: e che continua ad essere.

Alla porta mi accoglie Giulia Giacchetti Boico, la presidente dell’associazione CERKIO, la Comunità degli italiani di Crimea. Ci tiene subito a sottolineare due cose importanti: la comunità italiana di Kerch non è la sola in Crimea e nel resto dell’Ucraina; inoltre, quasi nessuno ormai parla italiano. Lei invece, Giulia, lo parla perfettamente.

Giulia mi racconta che a Kerch attualmente sono presenti circa 300 persone di origine italiana, ma sono solo una sessantina gli iscritti all’associazione. Il motivo, mi rivela, risiede nella paura ereditata dai genitori e dai nonni, per via delle repressioni e delle deportazioni in Siberia durante il regime sovietico; quindi evitano una esposizione di questo tipo. Ma non mancano di certo i disinteressati alle proprie origini.

Non ci vuole molto per capire il pensiero degli italiani della Crimea riguardo l’attuale situazione bellicosa, anche se nessuno ha molta voglia di parlarne perché temono probabilmente ritorsioni. L’autonomia della Crimea è di fondamentale importanza per tutti, perché la completa dipendenza dalla Russia o dall’Ucraina strozzerebbe l’ultimo afflato di autonomia, congenito nella natura etnica e linguistica della penisola.

La comunità italiana è una delle più piccole etnie presenti nel territorio, ma non per questo rinuncia alla rivendicazione delle sue origini italiane, ricordando più volte come anche Garibaldi, l’eroe dei due mondi, sia passato da quel porto, un tempo fiorente e di grande rilevanza dal punto di vista commerciale ed industriale, ora lasciato quasi allo sbaraglio.

Gli italiani di Crimea sono spesso schivi e riluttanti a parlare, specie in italiano poi (per quei pochi che lo parlano): ne ho la conferma quando sia Igor che Giulia mi dicono che in questi giorni ci sono anche due giornalisti italiani che stanno facendo un reportage, intenti a fotografare i “compaesani”. Un problema questo, perché, mi dice Giulia, l’orgoglio dei “compaesani dimenticati” impedisce l’accesso nelle loro modeste abitazioni, per usare un eufemismo dolce e consolatorio.

Da quando la Crimea è diventata il nevralgico centro di tensione tra Ucraina e Russia, la comunità italiana crede non sia opportuno sbilanciarsi: sono pochissimi e non vengono molto presi in considerazione nella penisola, sebbene ormai integrati perfettamente. E c’è da capirli, considerando l’enfasi russa diluita in tutta la città, a cominciare dalla piazza centrale dove primeggia la statua di Lenin con il suo cappotto e il suo sguardo lungimirante verso il piccolo centro commerciale costruito di fronte alla statua che lo raffigura. Per non parlare poi dell’obelisco sovietico posto sopra ad una collinetta raggiungibile da una lunga scalinata di fattura italiana (mi dice Giulia), circondato da cannoni usati durante la seconda guerra mondiale.

I compaesani di Kerch non nutrono antipatie per l’una o l’altra bandiera, anche se ogni tanto la nostalgia sovietica si fa sentire: quel che conta è trovare una soluzione che sia la giusta via di mezzo e che garantisca quell’autonomia da Kiev che da tempo manca nei fatti. È il pensiero comune di molti italiani, un leit motiv di buon auspicio di fronte alla struggente realtà, quella dell’altra parte della penisola, a Sebastopoli e Sinferopoli.

Tra una scodella di borsch, la minestra tipica ucraina a base di verdure, e uno sguardo al telegiornale in lingua russa che comprendo solo attraverso le immagini che passano, Giulia mi racconta di quel nervo scoperto che è la corruzione, non solo nei pressi di Kiev, ma dappertutto, fino a raggiungere la Crimea stessa. I sindaci sono in carica anche da più di 10 anni (nel caso di Kerch il sindaco svolge questo ruolo dal 17 anni ininterrottamente); diventano dei veri e propri potentati; appalti e gestioni pubbliche vengono privatizzate e date in mano ai parenti, anche quelli meno stretti. Entrare poi nel sistema sanitario come paziente poi, mi racconta sempre Giulia, è una condanna alla quasi morte o all’impoverimento sistematico.

Gli abitanti italiani di Kerch sono pochi, anziani, ma la nuova gioventù ha riscoperto quelle radici occultate per tanti anni. Non mancano lezioni di lingua e grammatica italiana, geografia, incontri ed eventi, commemorazioni come quella del 28 gennaio, data nella quale più di 60 anni fa avvennero le prime purghe staliniste.

La minaccia di una nuova guerra in Crimea spaventa certamente tutti, italiani compresi: perché sono proprio le minoranze che pagherebbero lo scotto di una eventuale guerra in termini di rappresentanza e rispetto dei diritti. Nonostante la comunità italiana a Kerch si sia perfettamente integrata, la paura e il terrore del passato alimenta quella ferita che non riesce a rimarginarsi.

Sentirsi italiani in Crimea vuol dire essere filo-europei? Quindi appoggiare il Maidan? Nessuno si sbilancia. Sono tutti abitanti della Crimea filo-russa e si sentono anche italiani: due identità che in una fase di tensione così grave potrebbe strapparsi, annientare quelle giunture della convivenza e dell’equilibrio precario, costruite con tanti sforzi.

Lascio la Crimea fagocitata dall’invasione russa. Altre 24 ore di viaggio per ritornare a Kiev. In treno, mi fanno compagnia il russo e due o tre bambini molto vivaci che corrono avanti e indietro lungo il corridoio. Un altro, un biondino di 4-5 anni, passa il tempo ripetendo i numeri. Intervalla i suoi primi studi giocando con i soldatini della fanteria russa e con un carro armato con la torretta avulsa. Mi lascio dietro la brace rovente di Sinferopoli, di Sebastopoli e della più tranquilla (ancora per poco?) Kerch, dove soldatini e carri armati, veri e reali questa volta, sono animati dal vento della guerra che soffia sulla brace di una Crimea che potrebbe diventare presto, ancora una volta, l’inferno.

Foto: Paperblog

Tags: Crimea, Daryush Sabaghi, italiani in Crimea, minoranza italiana, minoranze, referendum, referendum Crimea, Ucraina Categories: Minoranze, Russie, Slider, Ucraina


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