E’ ormai chiaro che la Russia stia tentando, già da anni, di riaffermare il suo ruolo di superpotenza e diventa ancora più palese tramite le nuove mosse attuate in Ucraina. Lo si è potuto notare già dall’interposizione di Putin tra gli USA e la Siria di Assad, mossa politica magistrale che da un lato ha quasi svergognato Obama e dall’altro ha garantito alla Russia un ruolo di potenziale peacemaker negli affari internazionali. Almeno per un periodo, sino alla nuova “questione ucraina”. Invece di sfoggiare doti di mediazione, in questa incombenza Putin avrebbe dato sfogo a quasi tutto il potenziale di un nerboruto approccio “sovietico”, riportando la guerra sul vecchio continente dopo quasi vent’anni, con le dovute conseguenze. Le contingenze favorevoli alla Russia sono state svariate: l’incapacità o la debolezza del governo statunitense, il quale appare quasi inerme in politica internazionale, collezionando un errore dopo l’altro; la divisione all’interno della stessa UE sulle posizioni relative alla Russia e alla preziosità dei rapporti con essa. Alla fine queste sono state (in parte) superate dalle sanzioni economiche generalizzate da parte di tutto l’Occidente. Misure che hanno rischiato di portare il rublo al collasso e con esso tutta l’economia della Federazione, che dipende enormemente dalle esportazioni verso l’Europa.
Questo sembrava aver posto fine al più virulento spasmo di aggressività putiniana, riducendo le pretese russe sull’Ucraina orientale e di conseguenza gli aiuti (almeno quelli ufficiali) ai ribelli filorussi nel bacino del Donec. La situazione sembrava essersi in parte acquietata, per la minore attività militare nella regione, ma anche per il filtro posto alle informazioni in Occidente. La Russia sembrava disposta a scendere a compromessi e a voler evitare un’ulteriore escalation, mantenendo il controllo sulla Crimea, ma abbandonando, almeno formalmente, l’appoggio ai ribelli nell’est ucraino. Palesando così un primo atteggiamento di debolezza, la resa all’evidenza dei fatti: il rapporto con l’UE è fondamentale.
La questione è quindi passata quasi in secondo piano, agli occhi dei più. Intanto, però, i ribelli nell’est del Paese non avrebbero cessato le loro attività. Una calma apparente in cui i combattimenti si andavano riducendo in numero e intensità, ricordando sempre più uno scontro tra forze di polizia e nutriti gruppi criminali, con azioni di stampo terroristico a Kharkov, Donestk e Lugansk, non sarebbe tuttavia sfociata nella reale fine del conflitto. Lo scarso rilievo attribuito per alcune settimane alla questione ucraina dai media occidentali non corrispondeva ad un’assenza di attività su quel teatro. Il presunto passo indietro di Putin di fronte al rischio di collasso economico dovuto alle sanzioni occidentali risulta ora una posizione solo momentanea.
Con lo scemare dell’attenzione sull’Ucraina, la Russia gioca alcune mosse interessanti su un altro scacchiere. Al 10 febbraio risale lo storico incontro tra Putin e il presidente egiziano Al Sisi, nel quale l’Egitto, stremato nel contesto internazionale e internamente dalle proteste di piazza, entra informalmente nell’area d’influenza russa: stilati l’accordo per la costruzione di una prima centrale nucleare con tecnologia russa, nonché la fornitura di armi per il valore di 3 miliardi di dollari, una zona di libero scambio e cooperazione in ambito petrolifero e turistico. Ad aggiungersi a questo, il rinnovato sostegno ad Assad nella causa anti IS e la non esclusione di un intervento delle Specnaz contro il califfato. Lo Stato Islamico è giunto a lambire il territorio martoriato e diviso della Libia, occupando parte di Sirte tra il 10 e il 13 febbraio. 21 copti egiziani sono stati barbaramente uccisi sulle sponde del Mar mediterraneo: l’Egitto, appena uscito dagli accordi con Mosca, reagisce con un attacco a sorpresa che annienta una colonna di miliziani dell’IS.
Intanto i combattimenti nel Donbass continuano, con l’assedio quasi medievale di Debaltsevo da parte dei ribelli che hanno accerchiato l’esercito regolare Ucraino. La recrudescenza degli scontri nel bacino risale ai primi di febbraio, dall’una e dall’altra parte. In assenza del sostegno effettivo russo ai ribelli, sono i nazionalisti ucraini a chiedere al governo la linea dura su Donetsk e Lugansk, con l’impiego massiccio di mezzi strettamente militari in situazioni gestibili in maniera alternativa; da qui, la l’attività sempre più esasperata ma efficace dei ribelli. Dopo le dichiarazioni di Obama sull’invio di armi a Kiev, la situazione pare deteriorarsi ancora, tra le minacce e le imputazioni reciproche tra Russia e NATO. Si arriva all’incontro a Minsk tra Merkel, Hollande e Putin con l’apparente accordo del 12 febbraio, smentito da altre sanzioni economiche UE il 14. Infine, l’ingresso dei mezzi e dell’artiglieria pesante russi nel bacino. Debaltsevo viene espugnata, con numerosi prigionieri tra i regolari ucraini, ma i combattimenti continuano in tutta l’area, tra Shirokino e Mariupol.
A giocare a favore della Russia, avendo finora distolto molti sguardi occidentali da Kiev, Mosca e Donetsk, sono la cruenta avanzata dello Stato Islamico e il suo potente impatto mediatico sull’immaginario collettivo occidentale, così come sui governi. Del resto, il massacro della redazione di Charlie Hebdo ha colpito direttamente al cuore l’Occidente, mentre l’Ucraina orientale appare un oggetto altro, lontano, distante. Gli scontri cruenti, intensificatisi nelle ultime settimane, fin quasi ad ora sono passati relativamente in sordina, al confronto dei repellenti fotogrammi del pilota giordano arso vivo dai jihadisti, dei giapponesi, americani e inglesi decapitati lentamente con un coltello da caccia. Rapportata alla barbarie del califfato, si presenta quasi come una guerra tra gentiluomini, nonostante di regolare abbia ben poco e gli scontri avvengano strada per strada, casa per casa. Ma qui i prigionieri si fanno e si scambiano, o vengono semplicemente rilasciati, non vengono sgozzati, crocifissi o messi al rogo. Persino i ribelli irregolari agiscono secondo le convenzioni di guerra e nel rispetto dei diritti fondamentali; forse per uno spirito da “umanità europea” alla Husserl, più probabilmente per opportunismo, perché ci tengono a farsi riprendere dai media europei mentre offrono ristoro ai soldati ucraini catturati, offrendone la liberazione immediata al governo di Kiev (che non sia anche questa un’indicazione da Mosca per esaltare la civiltà e la giustezza della causa filorussa a fronte dei bombardamenti sulle scuole e delle pallottole sui civili da parte dell’esercito ucraino?).
Questa settimana sono stati raggiunti un accordo per il ritiro dei mezzi pesanti dal Donbass e un altro accordo per lo scambio di prigionieri tra regolari ucraini e irregolari della Novorossija. Gli sconfitti ucraini, mantenendo dignità e fierezza, arresisi dopo giorni al gelo, senza viveri né munizioni, sfilavano domenica a Kiev come eroi. Solo, forse, negli ultimi giorni, ci accorgiamo davvero di questo conflitto che divampa in Europa, con stupore e forse qualche briciola di distacco, come se l’Ucraina fosse in un altro emisfero. Anche per questo la Russia sembrerebbe giocar meglio le proprie carte, meglio di quanto non facciano USA e UE: per la maggior consapevolezza della vicinanza di quanto avviene, della sua importanza per tutto il futuro della regione e dei rapporti di forza internazionali.
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