Il prof. Antonio Gambino, docente di Diritto all’Università Europea di Roma, spiega: «Questa modifica restringe le situazioni nelle quali si può abortire, e già questo è un fatto positivo perché la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza ha un forte impatto culturale sugli ordinamenti in cui viene a operare. Nel caso specifico, chiedendo anche il consenso dei genitori della minorenne che intende abortire, indica che il nascituro ha dei diritti che vanno al di là della semplice volontà del soggetto che vuole interrompere la gravidanza. Per essere sacrificato il diritto del feto ha la necessità di essere messo a confronto con più posizioni soggettive, tra cui quella dei genitori della donna minorenne che vuole abortire. Questo ovviamente non esaurisce i problemi che fa emergere qualsiasi legislazione sull’aborto, ma tuttavia nel restringerne l’applicazione offre una valutazione apprezzabile [...]. Il tema delle settimane entro le quali si può abortire non ha alcun senso, perché è evidente che per una vita che ormai ha attivato progressivamente la sua venuta all’esistenza e quindi la sua crescita, non c’è nessuna differenza né di ore né di settimane. E’ sempre lo stesso essere che una volta concepito ha iniziato a vivere nel mondo».
C’è anche una riflessione interessante sulla mancata valorizzazione dell’adozione: «I limiti che si oppongono a questa scelta sono di natura culturale, perché sono legati a una visione del nascituro come cosa propria, e non invece come soggetto autonomo e persona. Purtroppo quando lo si considera come una proprietà, non si vede invece che quel bene giuridico ha una sua autonomia in quanto a diritti».