Pubblicato da enrico de lea su dicembre 11, 2011
Se pesante è la terra, ne è un segno
la pesantezza del passo del prete zoppo -
ci guarda e pronuncia che anche
la volta celeste ci grava, anche troppo.
Sguardo di resa, l’Eccehomo osserva,
si sbilancia in avanti, con le braccia
si sproporziona, succede che si perda,
definitivo, al mondo e, poi, ne taccia.
Pezzi di storia, i nostri padri muoiono,
assorti al cimitero sul paesaggio,
loro semi e segnali tra le rocce paiono
bestemmiare il morire, dall’alba del coraggio.
Circe e circense da allora possiede,
un motto oscuro alla bestiola incanta
voglie in salita, lastimate prede,
c’è da saltare il fosso, e il porco canta.
Erano forse tempi di decoro,
con la Vitti nella Camera del Lavoro,
angelo delle bizze, dopo aver girato -
tra i nostri attori Crupi e Maria Trovato.
Sul palco ottagonale, sul Bastione,
presentano Antonioni e Ferzetti
(il cinema, nel paesaggio della visione),
anni luoghi persone, regni e disegni netti.
Nell’incendio che avvampò dietro il macello
brucia, lontana, la funcia del maiale -
piangeva a don Bastiano, al suo coltello-
spettatori-bambini oltre il bene e il male.
Evoco o spunto, sempre, il cunto della febbre,
padre che guardi asciutto all’oltremondo,
il brivido dell’oltre, di minute erbe,
da cuocerci, buon pane, il vecchio mondo.