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"Ultimo orizzonte", il fantastico di Valentina Coscia

Creato il 17 marzo 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

"Ultimo orizzonte", il fantastico di Valentina Coscia

Pubblicato da Ossimoro Cari lettori,
oggi vi parlo di un libro che mi ha spiazzata su tutti i fronti. Niente sapevo dell’autrice e di questa storia quando ho aperto il libro (anzi, l’e-book) e mi sono trovata catapultata in un mondo lontano e straniante. Ultimo orizzonte (titolo di leopardiana memoria) è un romanzo che, in mancanza di un genere univoco in cui inquadrarlo, definirei fantastico post-apocalittico con infiltrazioni orrorifiche, mitologiche e folkloristiche. Eccolo a voi. Titolo: Ultimo Orizzonte Autore: Valentina Coscia Editore: WePub Data pubblicazione: febbraio 2012 Pagine: 177 Prezzo: 2,99 euro (ebook) Trama: Una città minacciata dal mare, una dea assetata di sangue e il destino di tutti nelle mani di un uomo che non vuole accettare nemmeno il suo. Benvenuti a Spéza, dove il confine tra la vita e la morte è la muagia, l’imponente muraglione che impedisce alle acque di inghiottire la città. Dove le barche attraccano ai balconi dei palazzi semisommersi e tutto ciò che resta del Mondo di Prima sono lamiere arrugginite e relitti incrostati. Dove un’antica e terribile divinità si è risvegliata da un sonno durato secoli e ora vuole la sua vendetta: l'unico in grado di fermarla è l’ultimo dei massacàn, i custodi della muagia. Bettole galleggianti, riti proibiti, tesori sommersi, leggende dimenticate: benvenuti a Spéza, non la scorderete tanto facilmente.
RECENSIONE E’ difficile suggerire ai lettori l’atmosfera stagnante e marcescente che si respira in questo romanzo; attingendo alla mia memoria letteraria e visiva, l’unico confronto che mi viene in mente sono alcuni racconti di Lovecraft, in particolare quelli del Ciclo di Chtulhu, incrociati con le ambientazioni del film Waterworld: protagonisti basso mimetici, tutti di umili origini, perlopiù pescatori, artigiani e palombari di questa isolata cittadina costiera, regolata da un governo tribale-corporativo; una piccola Venezia sopravanzata da un mare minaccioso, a stento trattenuto dalla muagia, un muro/diga il cui funzionamento è regolato da 15 pompe. Il protagonista, Artibano, massacàn (cioè responsabile del funzionamento delle pompe), è un personaggio controverso, considerato un po’ “lo scemo del villaggio” perché i suoi antenati gli hanno trasmesso dei ricordi del mondo “di prima” che tutti cercano di cancellare.  Un’entità sconosciuta comincia a mietere vittime tra gli abitanti di Spèza e ad Artibano ne viene attribuita la responsabilità; contestualmente, alcune creature soprannaturali lo contattano per informarlo che lui è l’unico in grado di salvare il suo mondo da questa creatura dal potere devastante. Non vado oltre, perché vi rovinerei il gusto. La prima cosa ad avermi colpita durante la lettura è stato lo stile asfittico, tagliente, aspro come le lamiere acuminate che giacciono sui fondali di Spèza; eccovene un esempio:
Nessun dissalatore, niente cisterne, né tubi sospesi per portare l’acqua da un palazzo all’altro. Ora il cemento si era sgretolato, laggiù c’è tanto di quel ferro da diventarci ricchi, ma la gente gira alla larga e fa bene (….) Ora quel posto mi appare sotto una luce diversa: tonnellate e tonnellate di metallo. Roso, certo, incrostato, ma forse utilizzabile. Spéza potrebbe ancora salvarsi.
In seconda battuta, l’uso frequente di termini (e a volte intere frasi) in dialetto genovese, come belin, massacàn, geza, picinin, semo, etc. tutti tradotti in appendice. In terza, la grande coerenza lessicale dei dialoghi, quasi veristi, che sono un pastiche di dialetto, termini marinareschi, gergo popolare e coloriti insulti, a rimarcare il mondo grezzo, maschile, incolto e privo d’ironia in cui si svolge l’azione. In una parola: la lingua di questo romanzo è studiata nei minimi particolari, curata meticolosamente e profondamente viva.
Il punto di vista è spesso ballerino tra un capitolo e l’altro, giacché muove dalla terza persona onnisciente al presente di prima persona con cui Artibano racconta se stesso; una scelta discutibile e a tratti destabilizzante, a parer mio non del tutto riuscita, ma di certo ardita. Ai personaggi, protagonista compreso, è molto difficile affezionarsi poiché, come ho già detto, sono tutti basso mimetici: l’autrice, che stimo profondamente per non averci afflitti con i soliti predestinati belli e simpatici, li ha volutamente dipinti con poche scarne pennellate veriste; sono lontani da noi, umbratili e rozzi in un mondo ostile, rifuggono qualsiasi empatia. La sola per cui io abbia provato un moto d’affetto è stata Catò, la moglie del collega di Artibano, Giobatta, la cui tenerezza materna buca le pagine (virtuali), ma al suo personaggio – per ovvie ragioni di trama – è stato dato poco spazio.  Le parti di narrato sono molto descrittive e tecniche nei riferimenti marinareschi al funzionamento delle barche, delle pompe e degli altri oggetti che contraddistinguono la vita dei personaggi. Per le stesse ragioni vi segnalo che i dialoghi, coerentemente con i personaggi e l’ambientazione, sono scarni, dinamici e coloriti; eccovene un esempio, che vede protagonisti Artibano e il ruspante Rafè:
“Deve essere Filipon. Resta qua, non ti vedrà nessuno. No, merda! C’è la tua barca ormeggiata al molo. Però Filipon è uno che si fa i fatti suoi. Non preoccuparti, mi inventerò qualcosa”. Lui storce la bocca: “Ma se sei sempre stato una mezza sega a inventare balle”. “Oh, sta zitto”. “Comunque (….) sono venuto a piedi dal promontorio. La recinzione è tutta buchi. Non sono mica così scemo da attraversare l’Entromuro con quelle bestie maledette in giro. Mi ci mancava solo di colare a picco per venire ad ammazzare te. Bel modo idiota di morire”.
In definitiva, un libro fantastico italiano che batte binari diversi dai soliti creando qualcosa di inedito e brillante; consigliato a chi va in cerca del bello che va oltre il piacevole, a chi ama l’invenzione linguistica e la scelta minuziosa delle parole. L’idea di usare il dialetto invece di inventare una nuova lingua e di ambientare l’azione in una versione post-apocalittica di una città esistente (come ho appreso dall’appendice, Spèza non è altro che La Spezia, città dell’autrice) sono innovative e coraggiose. Sconsigliato a chi cerca l’empatia, i personaggi alto mimetici sopra le righe, i canovacci conosciuti a rassicuranti, un’ambientazione graziosa e un’atmosfera conciliante. La lettura è anche impegno. Concludo con un plauso personale e sentito a chi ha curato l’editing di questo libro, che dal punto di vista formale è praticamente perfetto. INTERVISTA 1. Ciao Valentina! Benvenuta sul Diario di pensieri persi. Io sono una patita di critica della ricezione, per cui ritengo doveroso presentare il romanzo prima dell’autore e perciò: ci parli di Ultimo orizzonte e di com’è nato? Ciao Elisabetta, grazie dell'ospitalità! Allora, Ultimo Orizzonte è nato da una curiosa concomitanza di fattori, letterari e non. Quasi due anni fa mi è capitato – per lavoro – di dovermi interessare alla profonda modificazione urbanistica che la costruzione dell'Arsenale Militare ha prodotto su Spezia (preciso: gli spezzini non dicono “La Spezia”) alla fine dell'Ottocento. Quelle fotografie, quelle storie, il pensiero di quel progetto immenso, la consapevolezza delle sue conseguenze mi sono rimaste dentro. Pochi mesi dopo, Writer's Dream ha proposto il concorso Urban Gods. Il tema era “le divinità tra gli uomini” e una città doveva avere un ruolo fondamentale nella storia. Inoltre, la frase i gabbiani volano bassi sulla città mi girava in testa da mesi. È stato come se un meccanismo, di cui fino a quel momento ignoravo l'esistenza, si fosse ricomposto e avesse iniziato a muoversi: volevo parlare della mia città. Delle sue radici. E volevo farlo a modo mio. Da lì è cominciato il processo che mi ha portata a elaborare l'ambientazione – che amo moltissimo –, i primi personaggi, altri se ne sono aggiunti man mano, e un abbozzo di trama (un po' diversa, va da sé, rispetto a quella della versione pubblicata). In realtà, ora l'ho messa giù semplice, ma ha comportato un bel po' di ricerca, grattacapi, testate contro il muro e frustrazione. Fra l'altro, al concorso poi non ho partecipato. Non ero ancora arrivata nemmeno a metà storia e avevo già polverizzato il limite massimo di battute da regolamento. Inoltre, mi stavo divertendo troppo: non mi passava neanche per l'anticamera del cervello di tirare a finire e poi mettermi a tagliuzzare.
2. Si tratta di un romanzo particolarissimo, in cui la mitologia si intreccia col folklore. Con il fantasy classico – e con la fantascienza - ha in comune la “quest” per salvare il proprio mondo. Quali sono i tuoi modelli?
Ah, la quest! In realtà non volevo: è stato più uno sfoggio di perfidia nei confronti di Artibano che altro. Era divertente ficcarlo in mezzo a quel casino e rimanere a guardare come se ne sarebbe tirato fuori. La domanda sui modelli mi mette un po' in difficoltà, perché senz'altro ci sono, ma io non ne so indicare nemmeno uno! Ho scritto Ultimo Orizzonte perché mi divertiva farlo, non ci ho riflettuto su troppo: ero impegnata a godermi il giro di giostra. È come se, per un tempo molto lungo, non avessi fatto altro che assorbire stimoli esterni e poi li avessi ri-impastati e messi sulla pagina. Ora, nel marasma, non so più distinguerne l'origine. Il fatto è che adoro le storie: amo leggere ancor più di quanto ami scrivere. Romanzi, manga, light novel, saggi, praticamente qualsiasi cosa. E poi divoro anime, film, serie tv. Qualche nome? Neil Gaiman, Terry Pratchett, Ekaterina Sedia, China Miéville, C.S. Friedman. Patricia A. McKillip. Asimov. Murakami, Kawabata, Mishima. Taniguchi. La Minekura. La Watase. Le CLAMP. Kaori Yuki. Fujisawa. Miyazaki. Kurosawa. Ang Lee. Stephen King. Clive Barker. William Gibson, Bruce Sterling, Pat Cadigan. Robert Silverberg. Dan Simmons. L'immensa Ursula K. LeGuin. Michael Swanwick. Kage Baker. Jonathan Stroud: vorrei un Bartimeus tutto per me. Martin Millar, con le fatine punk di The Good Fairies of New York. I classici d'avventura: Salgari.Verne. Stevenson. L'Isola del Tesoro è semplicemente perfetto. Dumas, perché sono innamorata del conte di Montecristo. Tolkien, che lo dico a fare. Christopher Moore. Ray Bradbury. Philip K.Dick. Richard Matheson. Max Brooks. Selma Lagerlof e L'imperatore di Portugallia... potrei andare avanti ancora un bel pezzo. 
3. Ho scritto nella recensione che i tuoi personaggi sono basso mimetici, quasi veristi (fatta eccezione per Dei e Santi, forse), quindi non sono i soliti personaggi esagerati e a tinte forti che popolano il fantasy contemporaneo: come ribatti a questa affermazione? E qual è il personaggio cui sei maggiormente legata?
Cosa ribatto? Che è senz'altro vero. Per essere sincera, da lettrice non ho un buon rapporto con i personaggi esagerati, come li definisci tu: o provo una sottile antipatia, un po' maligna, oppure mi viene da fare dell'ironia a loro spese. In ogni caso, non riesco a prenderli sul serio, a provare empatia nei loro confronti. Probabilmente, è anche una questione di età. A me piacciono le persone, perciò penso sia ovvio che i miei personaggi non siano esseri speciali, per un motivo o per l'altro, ma, piuttosto, normali tendenti al mediamente sfigato. Artibano, in certi momenti, è un impiastro tale da far cadere le braccia perfino a me! Trovo difficile “legarmi” ai personaggi: ho bisogno, al contrario, di mantenere un minimo di distacco, altrimenti non funziono. Però, se devo indicare il mio preferito, è senz'altro Rafé. Ho faticato tanto per tenerlo al suo posto e impedirgli di rubare la scena ad Artibano, perché è divertente scrivere di lui. 
4. La cura che è stata profusa nella realizzazione del tuo romanzo è notevole: si intuisce, alle spalle, un grande lavoro tuo e dell’editor; come sei diventata una scrittrice della scuderia WePub e che cosa ci racconti della tua esperienza come esordiente?
Questa affermazione mi fa un enorme piacere, perché io e Andrea, il mio editor, abbiamo preso Ultimo Orizzonte e l'abbiamo montato e smontato non meno di un paio di volte, passato ai raggi X e rivisto fino – letteralmente – ad avere incubi e nausea (almeno, io li ho avuti, lui non so). Ora, a parte che non penso a me stessa come a una “scrittrice” e mi fa uno strano effetto sentirtelo dire, sono entrata nella scuderia WePub... con enorme stupore! A ottobre ho letto una loro presentazione sulla pagina Facebook di Writer's Dream. Era, a dir poco, entusiastica e, visto che WD non si fa scrupolo di smascherare editori truffaldini, ne sono rimasta parecchio colpita. Alla faccia del bel biglietto da visita, ho pensato. Ultimo Orizzonte era nel cassetto: aveva appena partecipato al Torneo Letterario Io Scrittore, dove era arrivato in semifinale, ottenendo dei buoni responsi. L'avevo mandato a qualche casa editrice e a qualche agenzia, ma senza farmi illusioni: insomma, parliamoci chiaro, già trovare un editore è un'impresa, ma trovarlo per un romanzo fantastico con delle parti dialettali, senza l'eroe, senza l'eroina da salvare, senza storia d'amore è... fantascienza? Tuttavia, dopo aver letto di WePub, mi sono detta “perché no?” e l'ho inviato. Dopo quasi un mese, ho ricevuto – con somma sorpresa – la mail in cui mi si proponeva la pubblicazione. Per quanto riguarda la mia esperienza da esordiente, non avrei potuto desiderare di meglio. Ho alle spalle una casa editrice seria, che ha trattato sia me che il testo con estremo rispetto. Mi hanno proposto un contratto onesto ed è stato fatto un editing vero e proprio, non ci si è limitati alla correzione delle bozze e vai con Dio: abbiamo prima lavorato sulla struttura della storia, analizzandola, cercandone falle, punti deboli, incongruenze e buchi logici. Verificato la timeline, le motivazioni dei personaggi, le loro interazioni. Solo in seguito abbiamo messo le mani sul testo, controllando non solo la sintassi, ma uniformando lo stile, tagliando prolissità e arzigogoli. Poi c'è stata la fase di correzione bozze, nella quale abbiamo anche ricontrollato la gestione del punto di vista, per evitare scivoloni. In tutto questo processo, Andrea mi ha seguito passo passo, sempre disponibile, discutendo con me, spronandomi, impedendomi di essere superficiale, generica o di accontentarmi. Mi stanno seguendo molto sul fronte della promozione e sono professionali all'ennesima potenza. In sintesi, “fortunata” non rende neanche l'idea.
5. Quali sono i tuoi progetti per il futuro (letterari e non)?
Per quanto riguarda i progetti non letterari... sorvoliamo! Sul fronte letterario, il first draft del secondo romanzo è già finito – questa volta ho giocato con il cyberpunk – ma è assolutamente bisognoso di revisione approfondita prima di essere anche solo degno di venire messo sotto gli occhi dell'editore. Dovrei cominciare a rimetterci le mani, ma... sto scrivendo una storia nuova. È nata da un racconto che ho mandato a un concorso on line. Evidentemente, i concorsi mi vanno a genio! Mi sto divertendo come una matta e, alla fine, questa è la sola cosa che conta. Almeno, per come la vedo io.  Grazie a Valentina per la sue interessantissime risposte. Lasciatevi tentare dall’inconsuetudine di questa storia così particolare. L’AUTRICE  Valentina Coscia da La Spezia, 35 anni, geologo con la passione per la lettura e la scrittura. Fieramente bibliobulimica e grafomane indefessa. Qualche concorso vinto, qualche partecipazione in antologie e un'inesauribile voglia di sperimentare generi, mischiarli e vedere cosa viene fuori.Ultimo Orizzonte è il mio primo romanzo.

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