Autoritratto, 1905
Il romanzo di una cucitrice, 1908
La risata, 1911
Elasticità, 1912
Volumi orizzontali, 1912
Dinamismo di un ciclista, 1913
Sotto la pergola a Napoli, 1915
14 marzo 907
Sono stato in campagna per lavorare e non ho trovato nulla. Le solite linee mi stancano, mi nauseano sono stufo di campi e di casette. E pensare che appena arrivato a Padova ne ero entusiasta e speravo.
Bisogna che mi confessi che cerco, cerco, cerco, e non trovo. Troverò? Ieri ero stanco della gran città, oggi la desidero ardentemente. Domani cosa vorrò? Sento che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale. Sono nauseato di vecchi muri, di vecchi palazzi, di vecchi motivi di reminescenze: voglio avere sott’occhio la vita di oggi.
I campi, la quiete, le casette, il bosco, i visi rossi e forti, le membra dei lavoratori, i cavalli stanchi ecc. tutto questo emporio di sentimentalismo moderno mi hanno stancato. Anzi, tutta l’arte moderna mi pare vecchia. Voglio del nuovo, dell’espressivo, del formidabile! Vorrei cancellare tutti i valori che conoscevo che conosco e che sto perdendo di vista, per rifare, ricostruire su nuove basi! Tutto il passato, meravigliosamente grande, m’opprime io voglio del nuovo! E mi mancano gli elementi per concepire a che punto si è, e di cosa si ha bisogno. Con che cosa far questo? col colore? o col disegno? con la pittura? con tendenze veriste che non mi soddisfano più, con tendenze simboliste che mi piacciono in pochi e che non ho mai tentato? Con un idealismo che mi attrae e che non so concretare?
Mi sembra che oggi mentre l’analisi scientifica ci fa vedere meravigliosamente l’universo, l’arte debba farsi interprete del risorgere poderoso, fatale d’un nuovo idealismo positivo. Mi sembra che l’arte e gli artisti siano oggi in conflitto con la scienza… C’è un malinteso. È vero questo che dico o mi sbaglio?
È una verità che se fantasticamente potessi andare in luogo affatto nuovo dopo un lungo studio farei cose nuove. Ora io mi sento frutto del mio tempo e mi sembra che qui in Padova tutto sia vecchio. Questa sensazione la allargo a tutta l’Italia, quasi, meno un po’ dell’alta e ne tiro la conclusione che si vive fuori d’ambiente. L’epoca nostra febbrile fa vecchio e in disuso quello che è stato fatto ieri. Cosa può inspirare se non della semplice tecnica un ambiente che non vive d’oggi? In Italia mi sembra tutto in disuso: un enorme museo per le cose d’arte, un’enorme bottega da rigattiere per quelle d’uso.
Le vie, le linee, le persone, i sentimenti sentono di ieri con l’aggravante, dell’odore indefinibile dell’oggi. Noi viviamo in un sogno storico. Questa è la delizia dei forestieri che vengono giustamente a riposarsi, ma fa fremere me al pensiero che gli storici nel secolo XX non parleranno di Italia.
Umberto Boccioni, Quaderni futuristi