Qualche giorno fa ho trovato una gradita sorpresa nella mia posta. Una piccola casa editrice mi ha inviato un libro da recensire, ebbene si, un libro sulla disoccupazione, ovviamente.
Incuriosita dalla descrizione dell’autore (ex camionista, avanti con gli anni, disoccupato, che dopo la triste odissea della cassa integrazione e del licenziamento senza appello si ritrova a “Raccontare la sua storia” non per disperazione ma per catarsi), che ho trovato molto vicina alla mia stessa situazione, e a quella di molti di noi, non posso fare a meno di pensare. Non troppo vicini anagraficamente, mi riconosco nella spinta “ad aprirsi”, a raccontarsi, che ha portato quest’uomo, con tutti i suoi dubbi di “non saper scrivere” e le sue paure di “non saper coinvolgere”, a scrivere un libro. Un libriccino, un libricciuolo, un gran bel libricciuolo, in realtà.
Gli stessi dubbi e paure, e la stessa necessità di buttare fuori tutto e purificarmi l’ho sentita io, e ve l’ho raccontato sin dagli inizi, quando ho deciso di aprire questo blog.
Per questo forte senso di identificazione ho deciso di dare una possibilità allo scritto. Io che di solito rifuggo come la peste le “letture impegnate”, quelle di attualità e soprattutto quelle di “storie tristi”, poichè mi dico sempre che per me la lettura è l’unico momento di evasione da questa vita amara e piena di delusioni e non me la voglio rovinare stando lì a rimuginare sopra brutture, torti, e altra amarezza.
Così come la vita, però, anche i libri sanno riservare, a volte, gradite sorprese. Ed ecco perchè vi sto parlando di questo libro, e di questo autore, a cui vorrei fare un applauso perchè, nonostante tutti i dubbi, è riuscito a scrivere un libro che non annoia, non cerca la compassione nè il compatimento altrui, ma racconta le cose così come stanno, così come ciascuno di noi le ha vissute, con lo sguardo disincantato eppure “lieve” di un bambino, quasi. Un bambino che vede, subisce, non ha la forza di opporsi, e per quanto si sforzi non capisce. Non può, non ci riuscirà mai forse, nemmeno “da grande”.
Trovare un filo logico in una situazione come quella della disoccupazione, del licenziamento, delle lotte per “non restare a casa” e non arrendersi, non è da tutti.
Trovare un filo logico in un discorso che non ha senso dall’inizio alla fine, pur avendone uno spaventosamente comune (di senso, appunto) è qualcosa di straordinario. Trovare il modo di comunicarlo, spiegarlo, farlo comprendere, pur senza venirne a capo per primi, è qualcosa di straordinario, secondo me. Un dono che hanno in pochi.
E’ il libro che non avrei mai voluto leggere, ma che avrei voluto essere io a scrivere
Un libro che sa essere lieve, pur trattando di argomenti pesanti. Lieve come il racconto di quelle giornate passate in presidio, un racconto di sguardi malinconici all’indietro, verso quel passato epico ormai perduto (come il Grest e i campi estivi, come le gite al mare quando si era bambini o le sere d’estate passate a caccia di lucciole per i prati) ma che per un attimo rivive, in tutta la sua struggente bellezza, in queste poche parole stampate.
E poi fugge via ed è già domani, quel domani fumoso cui bisogna far fronte, cui bisogna adattarsi, a cui bisogna strappare ora dopo ora, conquistandola con le sole forze di quelle schiene abituate ad anni di fatica che non possono permettersi, ancora, di riposare, e di quelle mani rovinate da anni di duro, ma onesto, lavoro.
Se vi ho incuriositi, e avete voglia di leggervelo anche voi, questo straordinario libro, dunque, ecco qui, a questo link potete scaricalo da Appstore o leggerne la review ufficiale: “Gli ultimi nove mesi” di Giovanni Baiguera, edito da The Action.
E se vi va, fatemi sapere se vi è piaciuto!