Dove si parlerà dell'Unità, storico quotidiano del partito comunista, fondato da Antonio Gramsci. Chiuso due volte nonostante i soldi pubblici (circa 60ml di euro): la seconda volta l'estate scorsa, lasciando i giornalisti senza lavoro e a doversi sobbarcare di tasca loro le cause civili perse (e di cui, secondo molti di loro, non erano stati nemmeno informati). Emblema di come funziona il mondo dell'informazione in Italia, ha scritto Alessandro Gilioli venerdì scorso:
Conosco una collaboratrice esterna dell'Unità che, per un articolo di satira (!), non difesa in giudizio dall'Unità e addirittura ignara di essere sotto processo, ha scoperto a sentenza emessa di dover pagare 3.000 euro per la sua parte e altri 20 mila circa per la parte dell'azienda. E li ha pagati, tutti, dando fondo ai risparmi, perché l'alternativa sarebbe stato il pignoramento dell'appartamento dove abita.In tutto questo, coloro che nella vicenda stavano nella parte alta della piramide - cioè il partito e i vari imprenditori che si sono succeduti alla proprietà - sono spariti e non versano un euro.
Il primo, perché dice di non c'entrarci nulla, che l'Unità non era formalmente sua; i secondi, perché hanno messo la società in liquidazione e ciao.
Così sono andate le cose. E, per carità, succede ben di peggio, nessuno finirà sotto i ponti eccetera. Ma a pagare sono stati i più deboli su cui i più forti (partito e imprenditori) hanno rovesciato ogni peso. Ed è questa dinamica, ben oltre la questione privata dei giornalisti, quella che fa più ribrezzo e paura. Perché - appunto - trascende le categorie professionali.Che poi nel caso ciò sia avvenuto proprio nel giornale di un partito fondato per difendere i deboli dalle angherie dei forti, beh, questo è un paradosso significativo sulla parabola di quel partito.
Per un certo periodo di tempo, le quote di maggioranza della società che possedeva il giornale erano in mano ad un pastore tedesco, Gunther IV, ereditiere di 136 ml da una contessa tedesca. Vero proprietario era un medico pisano, Maurizio Mian, che con quei soldi aveva comprato circa il 20% delle azioni del giornale. E che ha chiesto indietro circa 4 ml di euro, chiesti alla nuova società La storia di una delle più importanti testate giornalistiche passa anche attraverso queste storie... La scheda del servizio: La causa persa di Emanuele Bellano Da agosto L'Unità non è più in edicola. La società che pubblicava il giornale, Nuova Iniziativa Editoriale, nonostante i 60 milioni di contributi pubblici incassati nel corso dei suoi 14 anni di gestione, ha portato i libri in tribunale. E' la seconda volta che la casa editrice che stampa questo quotidiano viene posta in liquidazione. A farne le spese oggi sono fornitori, giornalisti e finanziatori. Ma ci sono anche 100 milioni del vecchio debito che rischiano di essere accollati ai cittadini. Inoltre, ora che la società non c'è più, con 32 milioni di debiti sulle spalle, la patata bollente delle cause civili perse da L'Unità è finita in mano ai giornalisti che da novembre stanno ricevendo pignoramenti sui loro redditi e in alcuni casi anche sulle abitazioni. Report ha ricostruito i problemi e i guai dello storico quotidiano fondato da Gramsci, una vicenda complessa, sorprendente e anche paradossale e alla quale partecipa anche Gunther, il cane più ricco del mondo. Veniamo alla storia di Agon Channel, il nuovo canale della TV albanese (visibile al canale 33) che l'anno passato ha fatto campagna acquisti , prendendo dei volti noti sia dalla TV pubblica che da quella privata. Antonio Capranica e Simona Ventura, tra gli altri. Ma chi è Francesco Becchetti, l'imprenditore dietro Agon Channel, che non ha badato a spese per la sua TV, mettendo sul piatto 40 ml senza passare per le banche? Becchetti si è occupato di energia e rivalutazione ambientale tra Italia e i Balcani, suo zio e l'ex re della discariche romane, Manlio Cerroni. L'articolo de Il giornale parla di un suo progetto per una centrale elettrica a Kalivac, di due cause civili con Enel e Deutsche Bank, una squadra inglese di terza categoria: da dove arrivano i soldi, si chiede il giornalista
Di sicuro non dalla progettata centrale di Kalivac, dove è tutto in abbandono e dove Becchetti evita di farsi vedere perché nessuno ha pagato gli operai né i fornitori. Però, chi sa muoversi qualcosa riesce a spremere. La causa alla Deutsche Bank, dopo la rottura della partnership, porta a Becchetti un tesoretto di oltre 20 milioni. I giudici albanesi danno ragione alla Beg. Inoltre, il ras dei rifiuti, dopo il ko nei tribunali italiani, chiede «giustizia» a quelli di Tirana e porta sul banco degli imputati Enelpower. L'Albania è tristemente nota per la corruzione, anche se, con il nuovo governo dell'intellettuale Edi Rama, sta mettendo in cantiere le riforme indispensabili per poter entrare nell'Unione europea. Corruzione che colpisce anche gli ambienti giudiziari. Questo non significa che i processi nei tre gradi di giudizio contro Enel siano stati viziati, ma qualche perplessità sorge spontanea. Soprattutto nello scoprire che uno dei giudici di Cassazione, che hanno emesso la sentenza contro Enelpower, era il legale della società di Becchetti. Alla fine l'Enel è stata condannata a pagare 440 milioni.In un'intervista al FQ, Becchetti risponde a queste accuse:
Una balla sesquipedale. Vergognosa. Aspetto le prove. La vertenza riguarda esclusivamente una società di cui non sono più né amministratore delegato né socio. Della sanzione inflitta dal tribunale albanese, solo per essere chiari, io non ho visto comunque una lira e in ogni caso, la storia è un po’ diversa. Parte da lontano. All’alba del 2000, quando in Albania non voleva andare nessuno, visitai il Paese per studiare la possibilità di investirci. Individuai un impianto a Kalivac e scrissi all’Enel, allora monopolista in Italia, per proporre una partnership sulle energie rinnovabili in Albania. Risposta?Mi dissero che se fosse stata confermata la fattibilità di quel che avevo in mente, sarebbero stati ben felici di procedere all’accordo. Fino ad allora, nel mercato albanese, Enel non era riuscita a entrare. Così presi la concessione, sottoposi la vicenda a tutte le verifiche del caso e mentre l’iniziativa stava per partire, venni improvvisamente convocato d’urgenza a Milano dal signor Giuffrida, amministratore delegato di EnelPower. Lì accade qualcosa di impensabile.Cosa accade?
Che Giuffrida e il suo collaboratore amministrativo, violando il piano previsto in origine, mi informarono di aver ricalcolato una maggiorazione dei costi dell’impianto stimata in 50 milioni di euro.Avrebbero voluto decurtarli dai suoi previsti proventi?Esatto. Risposi serenamente: “O voi mi dimostrate che esiste una ragione tecnica per cambiare le carte in tavola a un’ora dall’inizio dei lavori o io non consento che venga modificato il piano di spesa”. Giuffrida mi guardò con commiserazione: “Tu sei un bravo ragazzo, un ragazzo in gamba, ma noi siamo l’Enel e tu fai quello che diciamo noi”. Mi alzai, uscii e citai l’Enel in arbitrato. Pochi mesi dopo, Giuffrida e il suo collaboratore vennero arrestati in un’inchiesta definita dai media il vaso di Pandora della corruzione italiana. Ci sarebbe molto altro da dire sui conflitti di interesse esistenti sull’arbitrato e su certi ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo persi dal colosso energetico per manifesta infondatezza, ma è materia per gli avvocati. Io penso ad altro e non mi arrendo mai.
Insomma, un imprenditore che conosce quel paese, sa come sfruttarne sgravi e conoscenze e che è capace di tener testa ai colossi energetici e che sembra deciso ad andare avanti.
Qui l'anticipazione su Reportime, con la storia della centrale idroelettrica, con le interviste ai giornalisti che sono andati ad Agon, le prime defezioni, delle salette di montaggio in container (di appoggio, dicono), della squadra di calcio inglese per fare un reality. E dei costi minori della produzione in Albania.. Anche l'informazione è stata esternalizzata. La scheda: Un italiano a Tirana di Luca Chianca
Dallo scorso primo dicembre, sul canale 33 del digitale terrestre, trasmette Agon Channel, la prima tv delocalizzata e prodotta in Albania, diventata in tempi di magra una meta ambita dai nostri imprenditori, dove la tassazione è al 15 per cento e lo stipendio medio di un lavoratore non supera i 250 euro. Simona Ventura, Pupo e Sabrina Ferilli, sono stati tra i primi a sposare il progetto dell'imprenditore romano Francesco Becchetti che ha investito 40 milioni di euro senza aiuto delle banche. Esperto in gestione dei rifiuti e di energia, con la passione di diventare un importante editore, che tipo d’imprenditore è Francesco Becchetti? E soprattutto da dove vengono i soldi che investe nella sua TV?Infine Giuliano Marrucci sull'alimentazione : Indicazione geografica
Per proteggere i prodotti di qualità del territorio, l'Unione Europea da anni emette certificati DOP e IGP, che vengono promossi anche negli spazi di Expo 2015. Ma ad essere tutelata, più dei consumatori, delle tradizioni e dei piccoli produttori, è una forma di concorrenza che impone di levare dai disciplinari ogni riferimento aggiuntivo sulla provenienza delle materie prime, a discapito di potenziali filiere locali virtuose dal punto di vista economico e ambientale. E’ successo così a Recco per la focaccia al formaggio IGP, succede a Modena per l'aceto balsamico, e sta continuando a succedere in Romagna con la lunga diatriba sulla piadina e ad Andria per la burrata.