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Un certain regard

Creato il 11 maggio 2011 da Pim

(Aprile 2002)

Un certain regard
Trovare posteggio a Cannes, alle cinque del pomeriggio, è impresa complicata. Percorro a passo d’uomo tutto il Boulevard de la Croisette, da Palm-Beach fino all’altezza del Palais du Cinéma. Rien à faire. Inverto la marcia e riparto, tornando indietro per un paio di chilometri sino quasi alla Pointe. Qui posso finalmente lasciare l’auto, e per fortuna non ci sono horodateurs nei paraggi. Poi, con passo turistico, mi avvio insieme a Giulia per la Croisette, sotto l'ombra delle palme verdeggianti che contrastano il blu intenso del cielo.

Il 25 aprile è un giorno feriale in Francia, ma Cannes è una di quelle località in cui sembra sempre festa ed estate. Intorno a noi sciamano frotte di ragazzi sui roller, bambini che giocano a palla, genitori che spingono carrozzine, signore con cani al guinzaglio. La temperatura è mite, nell’aria limpida si spande un profumo dolce di herbes de Provence. Sulle panchine la gente prende il sole e in spiaggia alcuni fanatici dell’abbronzatura si espongono nonostante soffi un venticello fresco.

Davanti al Carlton noto un discreto movimento di chauffeurs in livrea variopinta che sistemano cartelli di divieto di sosta. Nella via adiacente qualcuno ha posteggiato sul marciapiede una Rolls Royce Silver Shadow, ma dubito che un flic oserà mai appioppare al proprietario la multa che meriterebbe. Hai lasciato la finestra aperta, dico a Giulia, indicandone una spalancata sopra di noi. Spiritoso, risponde. Entrambi pensiamo ai trenta mq dello studio di Nizza prestatoci per qualche giorno dai nostri amici, ampio più o meno come il ripostiglio delle scope del Carlton. Et bien, in ogni caso siamo qui anche noi.

All'improvviso si avvicina un tipo con il microfono in mano che, scusandosi per il disturbo, in un inglese pasticciato mi chiede cosa ne penso di Jean-Marie Le Pen. La classica domanda che ogni turista vorrebbe sentirsi rivolgere. Gli rispondo in francese: selon moi, il est fascho. Il tipo sembra soddisfatto, ringrazia con un mezzo inchino e si allontana in cerca di altre vittime. In questi giorni, la vita politica d’oltralpe – sonnacchiosa a confronto della nostra – si è piuttosto surriscaldata per via del ballottaggio tra Chirac e Le Pen. E anche le tranquille località della Côte sono attraversate da chiassose manifestazioni indette dalle Sinistre contro il Front National.

Passando in mezzo a chioschi e giostrine, arriviamo finalmente all’Esplanade Georges Pompidou, proprio di fronte all’ingresso del Palais des Festivals et des Congrès. Dove, tuttavia, ci attende una parziale delusione. L’ultima volta che eravamo stati qui, nel ’97, il Palais era aperto al pubblico, si presentava addobbato di fiori e sul portale dominava il manifesto ufficiale del Festival. Frotte di turisti si mettevano in posa alla moda delle stars sulla montée des marches, coperta da un’elegante passatoia rossa. E una vasta sala a vetri accoglieva al proprio interno una bella mostra fotografica che riproduceva tutti i vincitori della rassegna. Anche oggi, quindi, ci aspettavamo di trovare già pronto l’allestimento in vista dell’imminente cerimonia d’apertura del Festival. Invece l’enorme sagoma di cemento e cristallo del Palais appare desolatamente vuota, l’esplanade tutt’intorno è malinconicamente deserta e nessuno si fa scattare foto ricordo.

Un poco dispiaciuto, gironzolo con lo sguardo rivolto al selciato, dove, alla moda hollywoodiana, sono impresse le impronte delle mani dei divi. A caso m’imbatto in quelle di Brigitte Bardot, di Sophie Marceau, di Gérard Depardieu, di Vincent Cassel, di Margot Hemingway; poi ci sono quelle appartenenti a Scola, a Mastroianni, a Polanski, a Fellini e ad altri nomi dello spettacolo più o meno noti che mi diverto ad individuare. I miei pensieri ritornano bruscamente alla realtà solo quando Giulia, infreddolita dal mistral, propone di fare due passi nei dintorni. Passiamo nuovamente davanti all’ingresso del Palais e, percorrendo il lato rivolto verso il trafficato Boulevard, raggiungiamo la parte posteriore che dà sul Vieux Port. Costeggiamo quindi il fianco che si affaccia al mare, dove la Croisette imbandierata prosegue verso sud e le stelline in cerca di fama usano mostrare le proprie grazie ai flash dei fotografi. Esposto in un’edicola, Nice-Matin titola a nove colonne: Le Festival des Stars! Ma, per il momento, qui di stars ce ne sono soltanto alcune nel cielo terso che va ad imbrunire.

Quel dommage! Avrei tanto desiderato essere il Vostro Inviato Speciale a Cannes. Mi sarebbe piaciuto riferirvi di Meravigliose Dive incontrate nella lussuosa sala ristorante del Martinez, di Celebri Attori sorseggianti un long drink nella suite imperiale del Noga-Hilton. E quanto avrei voluto raccontare la favolosa vita mondana che movimenta le opulente notti del Festival, tra limousines, risse e paparazzi. Invece niente.

Il Vostro Solerte Cronista risparmierà quindi i dettagli della cenetta a base di bouillabaisse e vin du pays, consumata in un ristorantino nel tipico quartiere di Suquet. E tralascerà di descrivere gagnetti con la maglia sbrodolata di gelato, anzianotti ciabattanti verso il Casino a giocarsi la pensione o buttafuori dall’aria truce piazzati davanti ai déhors degli hôtel. Però lo spettacolo notturno della Croisette, che in una lunghissima scia di luce contorna a perdita d’occhio la spiaggia, vale ben più della vista di qualche anonima starlette in cerca di gloria. I palazzi imponenti che fiancheggiano il Boulevard e i finestroni illuminati creano un’atmosfera piacevolmente serena, la quale schiarisce piano piano il corso dei pensieri. Le onde placide che risaccano sul bagnasciuga donano la confortevole speranza che ogni cosa abbia un posto e vi sia un posto per ogni cosa. E che l’animo inquieto da clochard del Vostro Mancato Inviato possa trovare finalmente pace.

Sì, forse la vita è meglio sognarsela. E Cannes non è altro che un sogno. Come, d’altra parte, una fabbrica di sogni è il cinema. Ed è questa la ragione per cui noi tutti l’amiamo.

Dissolvenza.

Fine.

(Prima pubblicazione: 26 maggio 2006)


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