Ora che si è esaurita l’ onda mediatica intorno al crollo della Domus dei gladiatori a Pompei, vorrei affidare al mio blog alcune impressioni. In primis, il crollo al quale abbiamo assistito era, in parte, preventivabile. Preventivabile perchè figlio della gestione tutta “italiana” del maggior complesso archeologico mondiale. Ovvero: commissariamenti, stati d’ emergenza, delegazioni alla protezione civile, restauri infinitamente lunghi, manutenzione inesistente, presenza di un eccessiva burocrazia. Questa è una semplice lista delle annose disfunzioni che gravano sul sito archeologico di pompei; situazione non dissimile, del resto, dal panorama artistico-culturale del nostro paese. Ma non voglio stare qui a dire cosa si poteva fare e non è stato fatto oppure a puntare l’ indice contro questo o quel governo. E’ un circolo vizioso che non porta a nessuna soluzione concreta. E’ altresi vero che il crollo della Domus pompeiana è da vedere com una lastra che indica lo stato di salute dell’ Italia: un paziente con una corporatura robusta ma trascurato, stanco, abitudinario. La cura per l’ Italia non esiste. Perchè la malattia ci identifica in qualche modo, ci piace. Ci piace mandare alla malora anni di salute che potremmo avere grazie ad arterie sanissime nelle quali scorre il flusso vitale della cultura, dell’ arte, del sapere. Rinneghiamo noi stessi in cambio di un presente fumoso, senza ossigeno. Il crollo di Pompei non ha evidenziato solo questa incapacità e questa scarsa propensione al cambiamento. C’è dell’ altro. L’ implosione dell’ edificio di epoca romana è, in qualche modo, metaforico. E’ l’ implosione di un meridione disperato, deturpato del presente così come del passato. E’ un crollo apocalittico, ovvero rivelatore di un percorso già tracciato da altri: l’ incuria del futuro e, quindi, delle generazioni successive compresa la nostra naturalmente. A Pompei rischia di crollare tutto. Non solo laterizi e pareti affrescate. Si rischia di mettere la parola fine a tanti volti eccellenti che, nonostante tutto, l’ Italia dimostra di avere. Parlo, oltre che di un patrimonio artistico- culturale che non ne vuole sapere di morire per mano dei suoi smemorati custodi, anche dei primati che l’ Italia vanta nella medicina, nella ricerca, nelle applicazioni tecnologiche. Il mio intervento potrà sembrare a molti catastrofico e pessimista. Ma è tutt’ altro. E’ un grido accorato a rialzarsi, a cominciare ad avviare dalle nostre coscienze un processo di progressivo rinnovamento culturale e sociale. E’ un accorato appello a non chiedere più nulla a chi ci rappresenta. A credere alle forze vitali del nostro territorio, a investire prima che soldi in modo confuso e disordinato in capitale umano, ovvero in idee, progetti sostenibili. L’ avvenire ( chiedo venia per l’ espressione che sa tanto di luogo comune) si costruisce tenendoci insieme per mano come un immenso, grande, solidale girotondo. Ma chi non ne vuole fare parte perchè non si sente italiano,per chi incendia il nostro tricolore e offende la memoria dei nostri padri (definendo, tra l’ altro, Pompei come “quattro sassi”), si accomodi in un angolo… il futuro non prevede arretratezza ed oscurantismo. Si fa anche senza.
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