Forse è stata la più grande tennista di sempre, Christine Marie Evert: concluse positivamente il 90% delle gare disputate – 1304 su 1448 –, rimase imbattuta addirittura per sei anni per un totale, in carriera, di 154 titoli vinti. Ritiratasi nel 1989, è divenuta madre di tre figli. Però ne ha avuti quattro. Questo almeno è quello che riferisce oggi il suo ex compagno, Jimmy Connors, anche lui tennista, il quale in «The Outsider», la propria autobiografia, racconta come la giovane Chris Evert, scopertasi incinta, ricorse all’aborto senza neppure consultarlo. Motivo: la carriera.
Fatto bene, diranno alcuni suoi estimatori, senza quella scelta non avrebbe raggiunto tanti record. Forse è vero; con quel figlio Chris Evert non sarebbe divenuta la campionessa che tutto il mondo ha applaudito. O forse avrebbe conseguito meno primati. Sia come sia, oggi che la sua carriera non è che un ricordo, per quanto eccezionale, la donna avrebbe un figlio in più. Il suo primo figlio. E quando – sempre che non l’abbia già fatto – che l’ex reginetta del tennis mondiale riguarderà con attenzione i tantissimi trofei conquistati, tutti belli allineati e ciascuno con un suo significato, non potrà fare a meno di notare un vuoto, una parentesi di buio tra il ventre e il cuore e tra il cuore e la mente.
Si tratta di un vuoto che, anche se non ha un nome, presenta forma umana e l’amarezza di un figlio che non c’è più. Per colmarlo, quel vuoto, non serve la rabbia e non bastano lacrime; c’è solo un modo: scendere nel campo paludoso della coscienza e chiedere perdono. Magari Chris Evert lo ha già fatto, non lo sappiamo; in caso contrario, le auguriamo di trovare la forza necessaria. Perché non è affatto semplice guardarsi dentro, quando l’avversario si chiama verità; l’unica grande consolazione è che ad affrontarla non perdi mai. Quando la eviti, invece, rimani comunque sconfitto. Anche se sei un campione.