“Tutti i bambini, salvo uno, crescono”. Come Barrie ci ricorda, ad eccezion fatta per quella beata divinità della fantasia e dell’infanzia che è l’eroe delle sue storie, tutto e tutti sono in costante divenire. La vita è un continuo infrangersi di gusci: da quello uterino a quello estremo del corpo in cui viviamo, a ben guardare; passando attraverso una lunga serie di eventi che ci portano a contatto con una realtà sempre più ampia. Una mattina ti svegli e ti accorgi che sei molto lontano da casa, che non sei più nel Kansas, come direbbe Dorothy, e la cosa peggiore è che, a quel punto, viene da chiedersi: come sono giunto a questo? Che fine ha fatto la mia vecchia vita? Che fine ha fatto il bambino che ero?
Pur nella mia giovane età, non posso negare di aver già vissuto almeno un paio di queste fatidiche mattine e immagino che il fenomeno tenderà ad intensificarsi esponenzialmente col passare degli anni. Magari, senza accorgermene mi ritroverò in un letto matrimoniale con una donna di cui non ricordo i pregi e le virtù, con un po’ di calvizie precoce da stress e un gran mal di testa. Oppure mi ritroverò scapolo, in un appartamento fatiscente di una metropoli americana a migliaia di chilometri da casa, sommerso dallo smog e dal rumore dei condizionatori che rombano fuori il loro freddo artificiale. E allora comincerò a cercare le cause che mi hanno condotto a questa specifica mattina. E come dicevo, la cosa più spaventosa è che potrei non ricordarmelo, essere ormai talmente infognato in una paralisi joyciana fatta di responsabilità verso la famiglia e il lavoro, di bollette, di tram in ritardo, da trovarmi di fronte un muro di mattoni ogni volta che tento di avventurarmi nel mio passato. Eppure, dirò fra me e me come inebetito dall’alcol, c’è stato qualcosa prima di questo, un tempo in cui le cose erano più semplici, più pulite. Ma la mia mente esausta potrebbe decidere di non avventurarsi oltre quel muro che essa stessa ha messo, per proteggermi da quel pezzo della mia vita troppo dolce e quindi troppo amaro da ricordare.
Ci sono solo cadaveri là dietro, mi sussurrerebbe all’orecchio l’inconscio, e scheletri e polvere, perché accollarsi la fatica di un’arrampicata? Non puoi fare più nulla per quel bambino… E allora rinuncerei e tornerei indietro. Ma come ho scoperto di recente, per quanto ci sforziamo, non tutti i canali possono essere chiusi.
Come ben sapete, nel mio fanatismo per il Cinema, ho sempre considerato i film un mezzo per riconnettersi col nostro bambino interiore e, nel mio terrore di ritrovarmi un giorno di fronte a quel famoso muro, ho volontariamente tenuto vicino a me alcune delle mie pellicole preferite di modo da restare sempre collegato con le emozioni dell’infanzia. Certe volte lo stratagemma ha funzionato, altre volte le immagini, come deteriorate dalla mia costante visone, perdevano di significato e mi lasciavano in balia della sterilità del mondo esterno. Poi qualche mese fa, mi è capitato di ritrovare una vecchia videocassetta di La Bella e la Bestia, le immagini in copertina sembravano disegni rupestri in una lingua morta, eppure comunicavano qualcosa di sopito e familiare. Ho inserito la cassetta nel registratore e l’ho mandata indietro (neanche mi ricordavo come si facesse) e appena la musica è iniziata e le immagini l’hanno seguita, qualcosa si è riacceso, come un vecchio pistone arrugginito che ricomincia a pulsare. Prima all’orizzonte apparve il castello (c’è sempre un castello nell’universo Disney), poi apparve Belle e poi quell’idiota di Gaston ed infine la Bestia, triste e sensibile, e tutti i buffissimi personaggi tramutati in oggetti domestici. Ricordavo ogni parola, ogni accordo musicale con precisione e la cosa sorprendente era che niente, niente della mia originale emozione era andato perduto. Io non piango molto spesso e credevo di non averlo fatto nemmeno quella volta finché non mi sono sentito in bocca il sapore delle lacrime. Non solo l’emozione non era svanita, aveva fermentato e si era tramutata in un sentimento che va ben oltre l’agrodolce sapore della nostalgia. Da allora ogni giorno riesumavo vecchie cassette Disney: Robin Hood, Aladdin, Peter Pan, Cenerentola (il mio primo cartone), Il Re Leone… alcune erano ormai smagnetizzate, altre ancora arzille, ma nel giro di una settimana avevo ritrovato tutti i fili che mi ricollegavano alla persona che ero stato anni prima. Mi sono ricordato chi era quel bambino, cosa adorava mangiare, cosa voleva fare da grande, cosa detestava e cosa trovava irrinunciabile, perché sorrideva quando andava a letto la sera.
Da allora le cose fra me e lui vanno meglio. Certo a volte lo perdo di vista di nuovo, ma qualcosa arriva sempre a ricordarmelo. Non credo che mi abbandoni mai veramente. Credo che fra noi ci sia sempre un filo conduttore.
Lorenzo F.L. Pelosini