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Un filo d’olio per Simonetta Agnello Horbny

Creato il 18 agosto 2011 da Fabry2010

di Massimo Maugeri, dal magazine Notabilis

Un filo d’olio per Simonetta Agnello Horbny
La storia di Simonetta Agnello Horbny è piuttosto nota. Siciliana doc, nata e cresciuta a Palermo, ha sposato un inglese dopo aver conseguito il dottorato in giurisprudenza nel 1967. Da quel momento ha vissuto all’estero, dapprima negli Usa e in Zambia, e dal 1970 in Inghilterra, a Londra. Sul finire degli anni Settanta ha fondato “Hornby and Levy”: uno studio legale nel quartiere di immigranti di Brixton, che ben presto si è specializzato nel diritto di famiglia e dei minori. Ha insegnato diritto dei minori all’università di Leicester ed è stata part-time presidente del Special Educational Needs and Disability Tribunal per otto anni. L’attività letteraria della Agnello Horbny comincia con la pubblicazione de La Mennulara (2002), a cui fa seguito La zia marchesa (2004), Boccamurata,(2007) e Vento Scomposto (2009) La monaca (2010)… tutti editi da Feltrinelli. La sua pubblicazione più recente, invece, porta il marchio dell’editore Sellerio e si intitola: Un filo d’olio. Un volume dove vengono offerti i ricordi d’infanzia dell’autrice e le ricette di famiglia, proposte con la collaborazione della sorella Chiara.
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«Da anni», dice la Agnello Horbny «desideravo trascrivere le ricette dei dolci di nonna Maria, annotate da lei in un quadernetto con le pagine numerate e corredato di indice, un libro vero e proprio. Avevo in mente un lavoro a quattro mani con mia sorella Chiara; nonostante da quarant’anni viviamo in isole diverse, ogni estate ci ritroviamo a Mosè – la nostra campagna – e cuciniamo ancora come ci hanno insegnato mamma e zia Teresa.[...] L’idea era quella di far rivivere la cultura della tavola di casa nostra attraverso le sue ricette, fotografie d’epoca e alcune pagine “narrative” per le quali avrei attinto ai nostri ricordi e ai racconti di mamma».
Come leggiamo nella scheda del libro “le ricette qui raccolte sono quelle degli anni e delle villeggiature delle due sorelle. E dalle pagine del ricettario familiare, limate dall’uso e dagli aneddoti, riaffiora tutto un mondo perduto di personaggi, di atmosfere e di sensazioni, i molti fantasmi benevoli che affollavano i giorni assolati di due bambine, in una grande casa padronale di metà Novecento. Tra i sapori e profumi delle ricette di casa Agnello ci sono quelli, mai nostalgici ma sempre intensi e fragranti, del tempo trascorso a cui il talento della scrittrice dona il gusto dell’eterno presente della vita”.

- Simonetta, secondo te, in un modo o nell’altro, il modo di cucinare e di mangiare rivela qualcosa di un popolo?
“Brillat-Savarin afferma: dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei. Per cui la cucina – cosa si cucina, come si cucina, cosa si mangia – svela tutto di un popolo. Così come il modo in cui si allevano gli animali e si uccidono, da come si mangia, dal rapporto con la divinità rupestre, campestre. D’altra parte, mangiare è l’attività fondamentale dell’uomo perché deve sopravvivere mangiando.

- Com’è il tuo rapporto con la cucina?
Ho sempre cucinato, sin da ragazzina, Non ho mai comprato cibo cotto. Anche quando devo cucinare per sessanta persone, faccio tutto io. Poi magari mi faccio aiutare dai camerieri. Però cucino io. Mi piace cucinare, ma sono una cuoca veloce, non raffinata. Inoltre ho preso poco dai paesi in cui ho vissuto. E mi dispiace. Avrei voluto imparare di più. Ma, forse perché sono una cuoca che fa tante altre cose, rimango sulla mia cucina siciliana che – tra l’altro – è ottima.

- “Un filo d’olio” può essere considerato un romanzo della memoria?
E’ senz’altro un romanzo della memoria. Della memoria ricostruita. In effetti è stata elaboratissima, la nostra ricostruzione. Ho cominciato a ricordare insieme a mia sorella Chiara. Quello che lei ricordava però, non sempre era quello che ricordavo io. Poi abbiamo parlato con nostro cugino Silvano, il figlio di zia Teresa, che aveva il compito di riempire i vuoti. Li ha riempiti, ma ne ha creati altri… perché lui ricordava cose che noi non ricordavamo. Allora ci siamo dovute sforzare per ricordare di nuovo. Poi abbiamo chiesto a un contadino che ci conosceva, il quale ci ha aiutato a colmare alcune lacune della nostra memoria. Alla fine abbiamo deciso di riportare sul libro gli avvenimenti che erano rimasti nella memoria di almeno due di noi.

- Una bella esperienza, immagino…
Un’esperienza divertente che ci ha unito e ci ha fatto ritornare di nuovo bambini, in un’atmosfera che non è mai stata di rimpianto, ma di speranza per il futuro, per i nostri figli.



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