Quando racconto agli amici che i paesi dell’Appennino in certi momenti sono più vivi di tante città di pianura è facile incontrare sguardi che non riescono a mascherare il perturbare d’uno scetticismo atavico, dato dal pregiudizio modernista che solo nella città al vita si compia e che quassù siano solo boschi ancestrali, silenzi lunghissimi e nostalgia d’un tempo andato per sempre. Eppure il Festival del cinema di Porretta è una delle più autorevoli iniziative che rendono l’Appennino tosco-emiliano non soltanto un luogo bellissimo e lontano dalle luci della città, ma anche un centro pulsante di cultura.
Il Porretta Cinema nasce dalle ceneri dellla Mostra internazione del cinema libero attiva dal 1960 al 1982 che vantava nell’organizzazione anche un nome non a caso come Cesare Zavattini e ha portato per due decenni sull’Appennino i migliori cineasti, scrittori e intellettuali d’Italia (Pasolini, Ungaretti, De Sica, Fellini…) e del mondo. Dal 2002 all’edizione di quest’anno da Porretta sono tornati poi alcuni dei migliori registi in circolazione, nomi altisonanti o ugualmente stimolanti come Bellocchio, Rosi, Loach, Mikhalkov, Avati, Parker, Monicelli, Gitai, Costa Gravas, Tavernier, Mazzacurati, Tornatore, Ozpetek e quest’anno Francesca Archibugi, a cui di anno in anno vengono dedicate retrospettive e conferiti premi alla carriera.
Il cinema di Porretta si distingue inoltre e soprattutto anche fuori da simili celebrazioni, per un clima informale, sottolineato da un ricco cineclub infrasettimanale e al contempo da proiezioni annunciate talvolta a pennarello su dei fogli A4, quasi a suggerire all’avventore che un cinema è un luogo di passioni svincolate dall’onnipresente compulsione a vendere il biglietto, infine non trattando un film come una merce qualsiasi. Un’atmosfera rilassata e generosa da taverna appenninica fa il resto (e che online ha fatto sorgere uno dei network più vari e partecipati che si vedano in giro, BAR DIAVOLO, cercare per credere su facebook), tanto che al termine del film di turno è facile e sempre lieto confrontare visioni e umori legati al cinema e non con i gestori Stefano Testa e Giulio Riccioni, e la ciurma di amici e appassionati che il cinema ha saputo trattenere oltre l’orario di proiezione nella sua saletta informale e accogliente, come avveniva un tempo sovente e adesso solo in luoghi in cui cultura significa ancora incontro.
La giornata di sabato, l’unica a cui riesco a partecipare e integralmente, è di quelle da non perdere e per giunta completamente gratuita. Nonostante conosca ancora poco Francesca Archibugi, ci sono alcuni elementi del suo cinema che concorrono nel creare attesa per la giornata. Vedrò Parole povere, un documentario insolito per tema e delicatezza, dedicata al poeta Pierluigi Cappello, maestro di parole e tenerezza sul verso; Lo stagionale di Alvaro Bizzarri, docu-film girato con mezzi di fortuna (e all’epoca proiettato personalmente dal regista per vari festival, tra cui quello di Porretta) sulla difficile condizione degli immigrati italiani in Svizzera alla fine degli anni Sessanta; E infine una delle migliori commedie drammatiche uscite negli ultimi anni in Italia, un film molto sopra la media delle produzioni contemporanee, ancora a cura della Archibugi, Questioni di cuore, che prescinde dalla banalità del disgraziato titolo scelto, facilmente equivocabile per una commediola sentimentale facile facile ed anzi è una storia originale, girata con maestria superlativa e in cui tutti gli attori sono in stato di grazia.
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