Magazine Per Lei
Quello che vedo accadere oggi è un inesorabile sgretolarsi delle (false) certezze ereditate dai genitori. Quello che vedo, se guardo me stessa e chi mi capita di frequentare, è lo sgomento di fronte al fallimento delle promesse dentro cui siamo cresciuti: il benessere economico, l’appagamento psicologico fondato su un equivoco sistema di valori, una felicità a portata di portafogli che si allontana sempre di più.Quello che vedo è il sorgere di domande nuove cui non è semplice trovare risposta senza dare una svolta, profonda e radicale, al proprio sguardo sulla vita.È per questo che UN GIORNO DEVI ANDARE di Giorgio Diritti mi è parso prima di tutto un film di straordinaria attualità. Perché tutti i personaggi sono toccati da domande che li spingono a cercare, a mettersi in viaggio o, per lo meno, in ascolto.Augusta, prima di tutti: la protagonista del film, interpretata da Jasmine Trinca, un volto che è paesaggio, è una giovane donna che in seguito a un forte trauma personale decide di partire per l’Amazzonia, dove si affianca a suor Franca, un’amica della madre che da trent’anni fa la missionaria tra gli indios. Chiusa dentro il suo dolore, immersa in una Natura primordiale, Augusta non riesce a sentire la vicinanza di Dio, non ne sente la voce e mette in continua discussione l’operato della suora, che le appare svuotato di senso.Incapace di trovare pace, decide di fermarsi in una “favela” di Manaus, un villaggio di palafitte dove vive la comunità povera ed emarginata della città brasiliana. Là Augusta si sente accolta, entra in sintonia con gli abitanti, fonda una sorta di cooperativa insieme a loro, si riapre addirittura all’amore, ma presto deve un’altra volta rimettersi in cammino di fronte a un nuovo dolore, a una nuova, devastante delusione prodotta dal degrado morale introdotto in quella comunità dall’affermarsi dei valori dell’uomo “civilizzato”.Augusta arriva infine nel cuore della foresta amazzonica e sarà solo là, dentro una Natura atavica e potente, immersa nel silenzio primigenio, che troverà nuove parole per dare un senso alla sua vita, forse…È bellissimo questo terzo film di Giorgio Diritti (dopo Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà), un regista non facile, per nulla spensierato, ma capace di condensare nei suoi film silenziosi una carica di densità che non ti lascia più per settimane intere.È bello perché racconta di un viaggio e ti porta dentro a quel viaggio, che è fisico ma anche spirituale.Diritti ci offre la possibilità di godere, grazie a una meravigliosa fotografia, di ciò che la maggior parte di noi mai vedrà, quel fiume, quegli alberi, quella pioggia violenta che appartengono all’altro capo del mondo.Ma siccome il viaggio di Augusta è soprattutto un cammino alla ricerca di un senso e di una nuova felicità, allora il regista con questo film ci offre la possibilità di metterci sulla strada insieme alla sua protagonista. Diritti sollecita i nostri primi passi. Non propone un percorso definito, ma si mantiene sul limite sottile che separa i credenti dai non credenti, in un equilibrio che è territorio di dubbio e quindi di indagine. Perché per Diritti non sono le risposte codificate quelle che portano alla felicità, non i sacramenti della Chiesa né la conquista di un benessere materiale a scapito del sentire solidale proprio di una comunità. La felicità, alla maniera di Simone Weil, sta piuttosto nell’accogliere e nell’essere accolti, sta nella relazione umana, anche quella più elementare, che non passa attraverso la parola. Perché nessun orologio, nessun bel vestito o nessuna conquista materiale saprà dare quella gioia cristallina che nasce dalla capacità di giocare con un bambino, di ridere con lui, senza più nemmeno la necessità di esserne la madre.
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