E questa idea estrema non è mia.
Mi è capitato di recente di leggere un paio di articoli che sostengono che il passaggio dalla caccia e raccolta all’agricoltura sia stato non un progresso ma il più grande errore dell’umanità – e che la distruzione dell’ambiente, le diseguaglianze, le gerarchie, gli abusi di potere, la distruzione della diversità delle culture umane e altro ancora derivino tutti da quel singolo salto quasi universalmente considerato un miglioramento.
Com’è possibile che qualcuno pensi questo? Il post che state leggendo non vi darà la risposta, perché io non mi schiero: vi invito solo a seguire il link alla fine.
Uno di questi due articoli è quello del famoso tuttologo Jared Diamond, molto letto e anche criticato, che non ha bisogno della mia pubblicità. L’articolo è del 1997 e ha fatto discutere parecchio.
L’altro articolo è più recente e opera di un permacolturista, Toby Hemenway, che mi ha dato il permesso di tradurlo e ripubblicarlo sul sito italiano Salviamo il paesaggio. La mia idea iniziale era di offrire anche un’introduzione mia con cui aprire l’articolo, ma poi mi sono resa conto che il testo diventava molto lungo e comunque l’articolo di Hemenway parlava già da sé.
Dirò solo due cose, come aggiunta, usando invece il mio blog. Una è che era tempo che volevo intervenire su questo tema, che ho iniziato a notare sempre di più: i movimenti per la difesa del suolo e del paesaggio, e su tutti il sopracitato sito Salviamo il paesaggio, quasi inevitabilmente si battono per il suolo agricolo minacciato da urbanizzazioni, lottizzazioni, trivelle, strade, infrastrutture inutili, e così via. Spesso agli articoli vengono allegati foto e video del territorio in questione, e quasi sempre si tratta di posti brutti: piatte distese monoculturali solcate da trattori e circondate da strade o sgradevoli periferie. Ogni tanto c’è una campagna per difendere una villa veneta (attorno alla quale, però, c’è già il Veneto) o un lembo di parco naturale (specificando che va sfruttato turisticamente). Davanti alla bruttezza dei luoghi che si vorrebbe difendere, e alla desolazione totale della minaccia che incombe su di essi, io ho iniziato a pensare: ma non abbiano davvero alternative? Non c’è nulla di meglio? Dove sono finiti i boschi, le aree umide, i grandi fiumi, le spiagge selvagge?
Recentemente ho visto la puntata di Presa diretta, che consiglio con molte riserve, sull’agricoltura, il suolo, l’Expo, le mele in Trentino, i braccianti sfruttati, un po’ di tutto. Iacona si impegna molto, ed è appassionato, ma ha due grossi difetti:
- interrompe sempre gli intervistati. Sempre! Dopo un po’ vorresti entrare nello schermo e portarlo via con la forza
- non fa nemmeno finta di essere imparziale. Per carità, si può essere bravi giornalisti e anche prendere parte, se lo si fa con onestà, ma il problema di Iacona è che non si rende conto nemmeno lui da che parte sta veramente, o che esiste una parte che lui non sta nemmeno lasciando parlare: la decrescita.
Il suo programma è un crescismo continuo: qui si potrebbero assumere persone, questo prodotto viene esportato in tutto il mondo e ciò non può essere che positivo, questa ricchezza naturale/culturale è da sfruttare, viva la crescita economica, viva la crescita demografica… ve ne siete mai accorti? Ci sono cose che non si osa nemmeno mettere in discussione.
Iacona mi deprime a un livello molto profondo: quando capisci che anche chi dedica probabilmente quasi tutto il suo tempo e le sue energie a combattere battaglie che somigliano alle tue, ma sono basate su presupposti così radicalmente diversi, e nemmeno se ne rende conto, ti senti davvero solo.
Comunque, questa puntata di Presa diretta, irrequieta come il suo conduttore ma importante, si apriva con la grande ironia dell’Expo: un evento dedicato a come sfamare il pianeta si terrà in palazzoni (orrendi) e scorrerà su strade (inutili) costruiti divorando suolo agricolo coltivato, anche biologico. Il suddetto evento quindi avrà il certo effetto, anzi l’ha probabilmente già avuto prima ancora di iniziare, di ridurre la quantità di cibo a disposizione dell’umanità, e non temporaneamente ma per un periodo molto lungo. Se fossi stata un’esperta invitata all’Expo avrei accettato di partecipare solo per salire sul palco sotto la scritta: “come sfamare il mondo?” e dire: “non facendo l’Expo”. Pa-pam! Scommetto che nessuno lo farà.
I giornalisti di Presa Diretta davano molto spazio alle proteste degli agricoltori: persone a cui va tutta la mia solidarietà, ma lo spettacolo era desolante. Gente malvestita in mezzo a un grigiore diffuso (prima ancora che ci arrivi l’Expo!), che vuole salvare un posto di merda perché non diventi ancora più di merda, indica un olmo di ottant’anni come chissà quale monumento naturale e campi monotoni e brutte casette come ciò che va salvato. Una tristezza che non vi dico.
Scusate: io davvero penso che gran parte della Lombardia sia diventata un posto di merda. Se può contribuire a rendere più accettabile la mia affermazione, sappiate che anche grossi pezzi del Friuli e tutta la campagna romagnola che ho visto, terra natale della mia famiglia materna, sono diventati secondo la mia modesta opinione dei posti di merda. Brutti, disordinati, poveri di biodiversità, tutti uguali, cementificati, completamente avvelenati…
Sto cercando alternative per andare oltre lo sconforto.
Io sono un po’ contraria, in generale, al giocare sempre in difesa. Certo, conservare è importante, ma così si rischia di ottenere nel migliore dei casi lo status quo, mentre se si perde si perde un pezzo, uno dopo l’altro, senza poter acquisire nulla.
Io penso che, se non altro in questo momento storico, l’imperativo non sia salvare il salvabile ma immaginare un futuro diverso.
Il futuro che ho in mente non deve per forza essere l’unico, né significare un ritorno al passato più remoto di tutti, quello di caccia e raccolta. Non siamo più fisicamente, psicologicamente e antropologicamente in grado di reggerlo, fatta eccezione per le pochissime società di questo tipo rimaste al mondo, che stiamo provvedendo a sfollare e massacrare per i nobili scopi di guidare la macchina ovunque come se non avessimo due gambe a disposizione, comprare gli smartphone, fare tanti figli e cenare al Boi Gordo (noto locale brasiliano di Udine, in cui non c’è limite alla quantità di carne che si può mangiare).
Il passato non torna, su questo possiamo stare tutti tranquilli. Ma se alcuni principi della caccia e raccolta fossero uniti ad alcuni principi della permacultura, dell’ambientalismo profondo e del calo volontario della popolazione, non vivremmo in un mondo migliore? Forse vale la pena provare.
Io sto facendo la mia parte con la dieta, l’orticoltura, la raccolta moderata di piante spontanee, la sensibilizzazione. Osservo anche come le persone qui condividono il surplus, e se questa modalità è praticabile in maniera più affidabile ma senza formalizzarla.
Un altro contributo che ho voluto dare è stato tradurre questo articolo. Merita.