Torno sull’argomento del reddito minimo garantito con l’intenzione di fare una piccola rassegna stampa di interventi interessanti sul tema, compilandola principalmente grazie al sito Basic Income Network Italia. Il dibattito su questo argomento è piuttosto avanzato (e sorprendentemente trasversale) e io credo che si tratti di una di quelle idee, come il voto alle donne o l’abolizione della schiavitù, di cui si parla da lunghissimo tempo, che sembrano utopiche di fronte allo status quo, e poi vengono messe in pratica e date per scontate.
Faccio un breve riepilogo per chi non avesse letto i miei precedenti interventi. Stiamo parlando di un reddito incondizionato e non alto, ma sufficiente a garantire la sopravvivenza, da dare a tutti i cittadini residenti di uno stato o dell’Unione Europea, e secondo alcuni, ma secondo me per ora è rischioso, anche ai soli residenti.
Affronto alcune obiezioni. In realtà questo compito è svolto egregiamente da questo fantastico articolo olandese disponibile in inglese che cita studi ed esperimenti sociali i quali hanno dimostrato che dare soldi alla gente in cambio di nulla non solo non incoraggia la pigrizia, ma permette ai più poveri ed emarginati di rifarsi una vita autonomamente e alle comunità di essere più libere e serene. Merita davvero una letta.
Ora però faccio un breve riepilogo con le mie parole, perché so che non tutti cliccheranno
La prima obiezione è che con un reddito gratuito si incoraggerebbero i fannulloni.Bisogna però ricordare che la disoccupazione molto spesso non è una scelta, ma una condizione in cui ci si trova proprio malgrado. La maggior parte della gente non solo non ama non fare niente nella vita, ma nemmeno ne sarebbe capace. Inoltre, è dura non far niente con pochi soldi: i peggiori fannulloni che ho incontrato sono i ricchi che possono permettersi di delegare agli altri i lavori spiacevoli e passare la vita a divertirsi. Con un reddito minimo basso si sarebbe, nel peggiore dei casi, fannulloni quasi autosufficienti, quindi di poco peso per la società.
Dimentichiamo infatti che ora esistono i mantenuti, e sono i figli dei ricchi. Meglio che la società mantenga più persone con meno che poche persone, scelte casualmente perché non decidiamo dove nascere, con molto.
Le persone che sono pigre di natura sono pigre anche in un sistema che le obbliga al lavoro: sono quei dipendenti che rendono poco e scaricano sugli altri quello che non hanno voglia di fare. Non esiste una ricetta per eliminare i pigri e gli approfittatori, ma un reddito minimo garantito unito a una flessibilità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro permetterebbe ai pigri di costare meno alla società rispetto a chi si impegna. Li si potrebbe licenziare senza tutti gli intoppi burocratici di cui spesso sentiamo notizia, nati per proteggere i lavoratori ma spesso usati male, e al tempo stesso non si avrebbe paura di distruggere la vita di una persona mandandola a casa, anche se lo merita. Inoltre, dando a ognuno la possibilità di provare a scegliere un lavoro che lo gratifica, si eliminerebbe quella pigrizia non caratteriale ma dovuta alla mancanza di stimoli o alla frustrazione. Permettere alle persone di formarsi per dei periodi anziché lavorare potenzialmente creerebbe una popolazione più qualificata e quindi più utile economicamente e socialmente, e più portata a intraprendere proprie attività anche in piccolo. Infine, la possibilità di rinunciare a un lavoro le cui condizioni sono inaccettabili darebbe ai lavoratori un potere maggiore di quello attualmente garantito dai sindacati, resi quasi irrilevanti dalla globalizzazione.
Senza contare che la ricerca affannosa di cose da far fare agli industriali o di modi di aumentare la già ingovernabile spesa pubblica pur di “creare lavoro”, oltre a costarci un’enormità e a non funzionare, come stiamo vedendo con le attuali statistiche sulla disoccupazione, sta distruggendo l’ambiente. È più sensato cercare di incoraggiare gli italiani a comprare più automobili per recarsi a fare lavori che spesso non servono, ricoprendo l’Italia di strade e parcheggi, oppure pagarli per stare a casa a lavorare magari nell’orto costruendo quell’autosufficienza alimentare che abbiamo perso anche perché si sono fatti solo gli interessi dell’edilizia sotto il ricatto della perdita di posti di lavoro?
Inoltre, a pensarci bene, quale migliore incentivo al lavoro che la garanzia di non perdere il reddito minimo se si inizia a lavorare? Se in Italia si introducesse solo il sussidio di disoccupazione, poi sarebbe conveniente non lavorare o farlo a nero. Oppure bisognerebbe costringere la gente ad accettare qualsiasi lavoro, in violazione della loro libertà e soprattutto spendendo enormi somme per controllare e imporre. Se invece si desse un minimo a tutti, questo avrebbe il duplice effetto di eliminare il risentimento dei lavoratori nei confronti di chi non lavora, e di incoraggiare chi può a lavorare. Solo che si potrebbe dividere meglio il lavoro, incentivando il part-time perché un tempo pieno non sarebbe più indispensabile per sopravvivere.
Un reddito incondizionato costa, ma permette anche dei risparmi. Si eliminerebbero i lavori inutili, i famosi spalatori di neve ad agosto o gli eserciti di portaborse. Si frenerebbe in parte l’emigrazione da zone depresse con i suoi costi umani ed economici sia nei posti di partenza che in quelli di arrivo. Ci sarebbe poi un altro enorme risparmio: la burocrazia e le storture dell’attuale sistema. Tutti quelli che propongono un reddito minimo chiedono anche di eliminare le diseguaglianze e gli intrichi, tutti ingiusti e costosi, dell’attuale sistema di welfare – in Italia, un sussidio di disoccupazione dato a pochissimi e casse integrazione temporanee che proteggono chi almeno prima aveva qualcosa e lasciano completamente fuori disoccupati di lungo corso e precari, e io aggiungerei anche le pensioni proporzionate al reddito precedente, un’altra ingiustizia da eliminare. Inoltre, sarebbe da eliminare qualsiasi sussidio o sgravio fiscale che incentivi le persone a fare più figli.
Chiunque smetta di lavorare prenderebbe lo stesso, indipendentemente dal fatto che il giorno prima fosse un manager o una badante. Il sistema attuale di pensione e cassa integrazione invece avvantaggia chi guadagnava già bene, il che non è giusto.
Il reddito minimo garantito presuppone una redistribuzione delle enormi ricchezze private ereditate o guadagnate pure in tempo di crisi, e quindi ci costringe a ripensare un’idea zoppa che è data per scontata persino quando i risultati vanno oltre essa stessa: quella di merito. Tutti sembrano ritenere, ciecamente, che se uno ha successo economico è solo ed esclusivamente perché si è impegnato e se lo è meritato, e quindi ha diritto a goderne il più possibile senza che gli “invidiosi” provino risentimento o cerchino di appropriarsene. Invece, come dovrebbe essere evidente a chiunque ha vissuto in questo mondo più a lungo di un neonato, il merito è non è l’unico fattore, e nemmeno il principale, nello stabilire chi si arricchisce e chi no.
Questo concetto è ribadito in questo articolo, in francese per chi lo sa o lo capisce, dove si dice: “la justice consiste, plus profondément, à distribuer équitablement les dons très inégaux que nous devons à l’interaction fortuite entre nos talents, notre origine familiale, le quartier et le pays où nous avons grandi et de multiples autres circonstances de la vie” (la giustizia consiste, più profondamente, nel distribuire equamente i doni molto disuguali dovuti all’interazione fortuita tra i nostri talenti, la nostra origine familiare, il quartiere e il paese in cui siamo cresciuti e le molte altre circostanze della vita).
Un’altra idea da mettere in discussione è che il merito debba per forza essere ricompensato economicamente. Io sono favorevole a diseguaglianze basse perché dev’essere possibile un modo per guadagnare un po’ di più se uno ne ha bisogno o lo desidera, e perché non tutti aspiriamo allo stesso identico livello materiale. Penso però che l’automatismo dell’equazione merito = denaro sia piuttosto arida e arbitraria. Chi fa bene qualcosa può essere ricompensato anche dalla soddisfazione, dalla possibilità di fare un mestiere più interessante o di propria scelta, e dalla stima altrui. Invece noi monetizziamo tutto.
L’idea della redistribuzione di conquiste merito del sistema più che dei singoli è declinata in maniera interessante in questo articolo in cui si sostiene che i benefici derivanti dall’integrazione europea debbano essere divisi tra tutti, compreso chi da questa integrazione ha perso più di quanto abbia guadagnato. Non condivido interamente le premesse dell’articolo, che glissa sugli enormi costi sociali dell’ipermobilità dei lavoratori, ma trovo l’idea veramente interessante.
Sinceramente, io che sono abituata a cercare difetti e controindicazioni in qualsiasi cosa, penso che una delle migliori idee in circolazione sia quella di trovare un modo per dare a tutti questo reddito minimo garantito. I risparmi possibili, elencati sopra, a cui si possono aggiungere altri tagli a spese pubbliche dannose o inutili, e la possibilità di tassare di più le enormi ricchezze private esistenti nel nostro paese renderebbero del tutto praticabile questa opzione. Perché non se ne parla di più? La mia persona risposta, scusate la durezza, è che la gente pensa per schemi e reazioni istintive, facendo riferimento a modelli superati, anziché analizzare con onestà nuove proposte adatte a tempi nuovi.