Magazine Italiani nel Mondo
Quando raggiungi la lavagna, vuota in attesa di scarabocchi, un po' come la testa per un attimo vuota in attesa di un sospiro, la classe ti guarda impaziente, piena in attesa di notizie. E allora inizi, si parla della mafia, qualcosa di tipico in Italia, con espressione seria, partendo dall'Unità d'Italia, dai proprietari terrieri e l'approccio ancora feudale, passando per il fascismo e lo sbarco americano in Sicilia, per poi andare al dopoguerra brevemente, elencare i tipi di organizzazioni mafiose del Sud d'Italia e cercare di spiegare cosa sia un modo mafioso di pensare, di agire, di essere. E allora eccoli, gli scarabocchi alla lavagna, una mappa della penisola, la faccia di Marlon Brando e poi qualche freccia, tante parole e le facce di chi magari si perde tra il tuo francese imperfetto ed il tempo a disposizione, mentre qualcuno fissa l'orologio perché ha l'autobus che parte e altri che invece sono un fiume di domande, insaziabili. E tu sei lì, a cercare di rispondere, in quell'argomento troppo complesso (che incosciente) da poter essere affrontato in 10 minuti, che poi però diventano 30 perché le domande non si fermano e si passa a Mangano, a Dell'Utri, agli eroi moderni, perché il discorso continua e i ragazzi si appassionano. La ragazza albanese vuole sapere di più sulla Sacra Corona Unita, il ragazzo libico vuole conoscere le opinioni sulle amicizie con Gheddafi e la ragazza americana non si accontenta delle risposte su Berlusconi, i ragazzi tedeschi vogliono più dettagli sulla Ndrangheta. E tu parli, parli, purtroppo senza contraddittorio, dimenticando regole di grammatica e accenti e dittonghi, mentre la prof annota, qualche volta ti corregge, continuandoti a guardare con due occhi grandi e comprensivi, gli occhi di chi ascolta problemi mentre magari si aspettava sorrisi.
Ed eccolo là, un italiano messo a nudo. Senza la barba di Galileo o lo stile del Rinascimento, senza la coppa del mondo alla mano o il sorriso di Valentino Rossi, senza pizza e senza gelati, senza l'oscar di Benigni o la scollatura di Sofia Loren, senza spiagge e senza sole, via tutto quello di tipico che potrebbe far pensare ad alcuni di venire dal paese più bello del mondo o ad altri di vantarsi, esserne fieri, gonfiarsi il petto e cadere in facili sciovinismi e stereotipi centenari, gli stessi che probabilmente i ragazzi della classe si aspettavano di vedere, ascoltare, ammirare. E invece no. Adesso sanno qualcosa di più sull'Italia, qualcosa che non è il solito film di sparatorie e popcorn, un'Italia che non è solo turismo e foto, che non ha soltanto piazze luminose e piatti invitanti, ma anche conflitti d'interessi, mancanze di pluralità d'informazione, tasso di corruzione altissimo e quella mafia, tipica, di organizzazione e abitudini.
Poi vai via, tu che non volevi affatto sputtanare il tuo paese, ma soltanto mostrare qualcosa di tipico, vai via con quel senso di nudità imprevisto, un nodo alla gola, una tristezza profonda, quasi a non credere a tutte quelle verità raccontate, tutte d'un colpo, tutte insieme, forse troppe; e vai via con la consapevole amarezza che era davvero qualcosa di tipico.
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