Magazine Asia

Un minimo di privacy - Kuala Lumpur, Malesia

Da Pulfabio

Un minimo di privacy - Kuala Lumpur, Malesia

Foto di Laurent Lavì Lazzeresky (CC)

Nello stesso tratto di strada in cui mi sono goduto l'incidente che ha coinvolto la donna-sacco-di-patate, solo pochi metri più in là e più o meno alla stessa ora mi capita di assistere a una scena ancor più pittoresca, ancorché priva del ritmo d'azione che aveva caratterizzato la precedente.
Sono arrivato all'altezza dell'Avenue K, un edificio fighetto che devo attraversare per arrivare al sottopassaggio delle Torri Petronas. Devo decidere se utilizzare la prima entrata (pro: 100 metri di aria condizionata supplementari; contro: l'androne soffre di un'atmosfera asettica, un po' desolata, vagamente cupa) o quella successiva (pro: superba vista della KL skyline, sfaccettature sociali da crogiolo etnico, siparietti squisiti; contro: un'afa che se hai le cataratte ti ci si forma la condensa sotto). Di solito scelgo la seconda, camminando lentamente per non sudare troppo, ma oggi opto per la prima perché voglio dare un'occhiata a un negozio che...
"Hey!"
Chi ha urlato? Non vedo nessuno.
"Hey! Hey!"
Ah, ecco, è una guardia giurata, è sbucata da dietro una colonna e cammina con velocità inusuale verso il piccolo giardinetto che separa il palazzo dal marciapiedi. Seguendo la sua traiettoria faccio scorrere lo sguardo di una ventina di metri in avanti e...ah, ecco cosa c'è! Anzi: chi c'è! Una specie di uomo di Cro-magnon con una zazzera nero-grigia vagamente riccioluta raccolta in tre o quattro spessi dreadlock - formatisi quasi di sicuro in maniera accidentale dopo anni di vita trascorsa all'addiaccio dai tempi dell'ultimo shampoo - sta acquattato sopra il prato all'inglese appena falciato, vicino a un rubinetto aperto che gli fa schizzare dell'acqua sui piedi (il che sarebbe un'ottima notizia se non fosse per lo strato di unto impermeabile che fa rimbalzare le goccioline senza che nemmeno una particella di liquido purificatore faccia presa sulla pelle).
Una piccola siepe lo protegge dallo sguardo dei passanti ma non da quello scandalizzato della guardia, la quale decide di non prendere in considerazione le ottime proprietà fertilizzanti della generosa dose di materiale organico che l'uomo sta scaricando sul terreno e lo esorta senza esitazione ad allontanarsi. L'altro, che sta proprio nel mezzo dell'operazione di evacuazione delle budella, non ci pensa nemmeno ad alzarsi, conscio del pasticcio che ne deriverebbe. Sarà anche un povero senzatetto ma il piacere di una defecatio in santa pace, almeno una volta al giorno, qualunque sia il dio a cui crede il suo persecutore dovrebbe concederla pure a lui.
La guardia però non ci sta proprio. Continuando a gridare si avvicina al luogo dell'oltraggio, con aria minacciosa, fino a fermarsi a ridosso di un muretto, cauto, titubante, come se avesse identificato in quell'ostacolo il perimetro di un cerchio di sicurezza tracciato attorno alla sorgente del fetore che forse ha cominciato ad avvertire. Pur senza completare la manovra di avvicinamento riesce a mettere fretta all'intruso, il quale fa comparire una bottiglia di plastica e ne svuota con cura il contenuto sulla sua mano per lubrificare il movimento di frizione con il quale sta ripulendo l'area del corpo testé contaminata.
Poi si alza e fa una cosa che non mi aspettavo: non se ne va, anzi si volta, con un passetto esce dal giardinetto e si ferma sul marciapiedi, in territorio neutrale. Quindi gonfiando il petto rivolge alla guardia uno sguardo di sfida, quasi minaccioso, un'occhiata di rimprovero all'indirizzo di chi ha violato la sua privacy in un momento così delicato. Forse viene qui ogni giorno, alla stessa ora, e non si capacita di questo cambiamento di scenario, da cui l'indignazione che non riesce a contenere.
La guardia sembra accusare il colpo, ammutolendo, il vigore infuso dal suo senso del dovere si affievolisce, inquinato da una dose di dubbio, mentre una specie di timore per questo imprevisto moto d'orgoglio sembra essersi alleato con la puzza che lo tiene a debita distanza. Ma è un'impasse che dura poco, perché quasi immediatamente si riprende e vincendo timore e ribrezzo spicca un salto sul muretto. Allora l'altro capisce che è arrivato il momento di andarsene, lasciandosi dietro soltanto quel ricordo puzzolente.
Si volta, non scappa ma si avvia velocemente, scalzo, a torso nudo e con un paio di pantaloni di tela leggera, o meglio una blanda idea di pantaloni, perché sulla gamba destra svolazza soltanto un lembo di stoffa che copre un settore di coscia e di polpaccio, lasciando completamente scoperta la natica. Trasporta due sacchetti di plastica che probabilmente ammontano - assieme ai brandelli di pantaloni - a tutto ciò che possiede.
Un paio di giorni più tardi, di prima mattina, lo scorgerò dalla strada in piedi sullo stesso posto, solo il busto che sporge sopra il profilo della siepe, mentre riempie la solita bottiglia al rubinetto e poi la usa per farsi una doccia rustica, come in quest'area del mondo si usava fare fino a pochi decenni fa nei fiumi e nei laghi.
Si muove con energia e proposito ma senza fretta, mentre i dreadlock casuali gli ondeggiano sulla testa. Non ci sono in giro guardie né polizia, qualcuno lo osserva ma nessuno lo disturba. In fondo questo è pur sempre il suo bagno, un luogo che richiede un minimo di privacy.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :