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"Un ragazzino ricchissimo, orfano di padre con bella mamma in affari, nella notte di Natale, solo col nonno in un castello francese da favola, aspetta Babbo Natale. Arriva, invece, uno psicopatico travestito con barba bianca e vestito rosso, che ha motivi di rancore per la padrona di casa. Comincia la caccia"
Il soggetto, costruito su un’idea geniale che in mani sbagliate avrebbe condotto verso un simpatico cortometraggio, dà modo al regista di ampliare naturalmente il proprio universo fantastico, sospeso tra la favola e la fascinazione ipertecnologica, senza disdegnare una messa in scena dai toni dark, degna del Tim Burton dei tempi andati. La sceneggiatura, lontana dal buonismo caratteristico dei blockbuster americani, presenta personaggi e situazioni accomodanti esclusivamente per stravolgerne il ruolo: il bambino viziato è in realtà meno sconsiderato dei propri familiari, il disadattato vestito da Babbo Natale un criminale psicopatico e – in assoluto la soluzione più originale e dissacratoria dell’opera – la festività natalizia assume connotati profondamente inquietanti, dove il senso di minaccia e solitudine sembra definire ogni singola inquadratura.
Si potrebbe parlare di una rilettura laica del Natale agli albori dei tremendi anni ’90, rappresentati attraverso un’invadente "ridondanza consumistica" (e non è un caso che la madre di Thomas sia direttore di un centro commerciale) in netta contrapposizione con la figura del nonno (Louis Ducreux), fragile nel corpo ma preziosissimo per la sua saggia tenacia.
Non mancano momenti di notevole violenza grafica, che portarono la censura italiana a bollarlo con il divieto ai minori di 14 anni, nonostante il protagonista fosse un ragazzino di 12 anni e nonostante il Fantafestival di Roma lo avesse premiato come miglior film (evitandone la totale invisibilità cinematografica in Italia).
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