Be’, sì, in effetti mi rendo conto che il titolo “Un modesto piano per interessare i non lettori” mi pare davvero eccessivo.
Allora diciamo che sono soltanto riflessioni del sottoscritto, una serie di linee guida che io potrei/dovrei rispettare in maniera da confezionare un prodotto che possa interessare.
Chi scrive è un imprenditore, e non può dire: “Dopotutto, qualcosa si vende. Basta aspettare che passi la burrasca”.
Una lingua semplice
Credo di averlo scritto un’infinità di volte. Se uno desidera scrivere, dovrebbe rivolgersi ai gialli di Georges Simenon. Qualunque scalcinata biblioteca li ha: basta prenderne 3 o 4 e leggerli. Poi rileggerli e rileggerli ancora, finché non si capisce come costruire una certa scena, un dialogo. L’importanza dei dettagli.
Io però mi soffermerei sulla lingua. La lingua che usa è innanzitutto il risultato del traduttore, questa figura sempre ignorata, in realtà fondamentale.
“I boulevards avevano il consueto aspetto disordinato delle undici di sera. Davanti alle luci le striature della pioggia si facevano meno fitte.”
Siamo a Parigi, e il libro è “Pietr il Lettone”. Si parla di boulevards. Ma potremmo essere a Milano, o Roma, in una delle vie più celebri. Però non mi interessa qui spiegare come si descrive un ambiente esterno. Ma attirare l’attenzione sulla lingua usata.
“Che cosa desidera?”
Aveva l’accento del luogo.
Una “semplice” indicazione sul modo di parlare di una cameriera. Senza star lì a cercare chissà quali soluzioni. Hai un’informazione che ti permette di fissare meglio questo personaggio. Ricorda che uno scrittore è democratico: se un personaggio appare sulla pagina, lo fa per un preciso motivo, non perché c’è spazio. E quel personaggio deve essere reso nel modo più efficiente possibile.
“Una stazione senza importanza. Neuschanz è a malapena un paese. Non vi transita nessuna linea importante. Ci sono treni soltanto al mattino e alla sera, per gli operai tedeschi che, attirati dagli alti salari, lavorano nelle fabbriche dei Paesi Bassi”.
Questo è ancora Simenon con il suo commissario ma il libro è “L’impiccato di Saint-Pholien”. Anche qui, soffermiamoci sulla lingua usata. Tutto è limpido, non ci sono paroloni. Non c’è bisogno di consultare alcun dizionario perché incappiamo in qualche termine sconosciuto. Per alcuni un autore che non induce a consultare un vocabolario è un mediocre. Io, vorrei essere un mediocre.
In poche righe, scritte in una lingua sobria, ma puntuale, Simenon ci consegna non solo una stazione, ma anche qualcosa di più. Ci svela il tipo di umanità che la frequenta, le motivazioni che la inducono a fermarsi su quei marciapiedi, a prendere quei treni. In poche righe.
Se non la capisce tua nonna…
Temo che sia un grave errore usare una lingua come mezzo per rimarcare la propria superiorità. Eppure è quanto accade in tanti libri. Che hanno un pubblico, si capisce. La maggior parte delle persone, però, non è interessata a quelle storie perché innanzitutto le sente estranee. Questa estraneità nasce dalla scelta dei vocaboli. Eppure la lingua nasce per permettere agli individui di parlare. Se una lingua parla solo a una fetta di individui, si capisce al volo che c’è un problema.
Se la tua storia non la capisce tua nonna, stai sbagliando. È lei che devi usare come lettore-beta.
Ah, sì, capisco. Adesso mi dirai che però l’italiano non può essere umiliato per raggiungere tutti gli italiani. E che non è possibile raggiungere tutti.
Facciamo così: rileggi i brani che ho piazzato in questo post. Ci trovi un italiano umiliato? Grezzo? Che insegue il peggio di quanto si sente in giro?
Usare una lingua semplice è difficile: per questo tutti sono, o fanno, gli intellettuali. E gli individui, giustamente, snobbano le loro opere. Perché li considerano delle feste alle quali non sono stati invitati.