E’ da qualche giorno in libreria “Un omosessuale normale” di Angelo Pezzana (Stampa Alternativa), un’autobiografia militante e controcorrente (a cui il Corriere della Sera qualche giorno fa ha dedicato un’intera pagina) in cui l’autore - considerato il fondatore del movimento gay italiano - racconta 40 anni di battaglie ma anche i ricordi di infanzia, i viaggi e tutte le persone incontrate.
Pezzana racconta l’esperienza del F.U.O.R.I. (era tra i 10 che parteciparono ad una manifestazione a Sanremo che porto per la prima volta la parola “omosessuale” sulle prime pagine dei giornali italiani) ed anche di alcuni compagni di viaggio: da Pannella (“con Marco e i radicali eravamo delle persone, dei cittadini. Niente di più. Niente di meno”) a Gianni Vattimo, definito “omosessuale di corte”, che non volle far parte dell’associazione (“temeva che il padrone di casa non gli rinnovasse l’affitto”) all’amico Aldo Busi irritato dall’etichetta di scrittore omosessuale (“ma prima o poi, se lo vorrà, dovrà fare i conti con la propria identità”).
Ma nelle 288 pagine del libro ce n’è per tutti: “Che l’Eterno mi perdoni, ma non ci sono Judy Garland o Barbra Streisand che tengano. In Italia l’unica vera e insostituibile icona gay ha un solo nome” sono le sperticate parole dedicate a Franca Valeri. Meno ossequioso, invece, è nei confronti di Dario Fo: “usava l’omosessualità per sollazzare il pubblico. Razzismo antropologico, omofobia miserabile”. E ricorda un Paolo Poli amato da “i notai, gli avvocati o i commercialisti seduti ai bordi delle prime file”
E parla infine dello sguardo degli omosessuali forgiato da anni di clandestinità coatta
“Può essere contenuto e non far passare nulla negli occhi, può evocare l’antico riflesso timoroso di ricevere un segno di riprovazione o di fastidio. Può, però, anche fulminare e colpire nel segno. Inseguire ed essere accolto. Ricevere una risposta compiaciuta, intimidita o strafottente, grata o dubbiosa. Lo sguardo è un’arma che abbiamo imparato a usare con grande perizia”