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Un paio di dritte leggendo Iréne Némirovsky

Da Marcofre

copertina capolavori némirovsky

Sempre utile e gradevole vedere come gli autori affrontano la pagina, no, non la pagina ma la narrazione. Ed ecco allora che in questi giorni leggo Irène Némirovsky, e in particolare il racconto “La preda”. Le cose da imparare sono sempre interessanti e tante.
Per esempio…

Un viaggio in automobile

I due personaggi della scena salgono in automobile e si dirigono verso Parigi. Come affronta la faccenda la Némirovsky? Meglio lasciar parlare lei!

Fece salire in macchina suo fratello e partirono.

In realtà nel file (ho la versione digitale dell’opera), c’è un refuso; “macchia” per “macchina”, ma lasciamo correre. E poi? Il viaggio come si sviluppa? Incontrano qualcosa di particolare? Il paesaggio com’è? C’è traffico? Dei carri trainati da cavalli (il racconto è ambientato nel 1938), o da muli? No, niente. Non c’è assolutamente nulla. Per quale motivo?
È sempre pericoloso cercare di indagare le scelte di un autore; ma è anche divertente. Un sacco di persone probabilmente avrebbe preferito spezzare questa parte del racconto con almeno qualche dettaglio su quanto accade al di là del finestrino. Lei, no, ma è abbastanza comprensibile il motivo. Si tratta di descrivere i pensieri di un personaggio nei confronti del proprio fratello. Inframmezzarlo con descrizioni di paesaggi, contrade attraversate lungo il tragitto per la capitale, significherebbe creare dei potenziali elementi di disturbo.
Attenzione. Non significa affatto che questo è “IL” modo giusto o migliore o unico per affrontare certi snodi narrativi. Forse è sbagliato. Forse uno sguardo oltre l’abitacolo poteva essere una buona idea. Di certo questo è uno dei modi di scrivere, e di affrontare determinate scene. Non è però il solo. E quale scegliere è un problema di chi scrive. Deve pensarci lui. E deve ricordarsi che a volte, è meglio non offrire al lettore alcun elemento di distrazione.
Anche se poi arriva magari uno come me che rompe le scatole, e dal basso della sua esperienza “ritiene che”.

La democrazia dell’autore

Si dice che un autore deve essere democratico, e se fa entrare un personaggio nella pagina, lo fa perché serve, non perché c’è spazio.

La bambinaia svizzera, che indossava una blusa bianca, cuciva sotto la lampada.

Stop. Nient’altro. Non spiega che faccia avesse, se era bionda o nera di capelli, come li pettinasse. Niente del genere. Offre le informazioni essenziali. C’è questa persona, ci dice che è svizzera, indossa una blusa bianca, e cuce alla luce di una lampada. Il resto è faccenda di chi legge. Hai presente quando si dice che chi scrive deve lasciare spazio al lettore? Ecco, appunto. Poco oltre:

La padrona del bar, una donna dai capelli bianchi che incorniciavano un viso allegro e rubicondo, venne a prendere l’ordine e, dopo aver servito da bere si ritirò lasciandoli soli.


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