Accecati dalla sindrome del “Talent Show”, sul podio non potevamo che piazzarci “una di noi”. Nei social, in rete e per strada ho sentito o letto la solita affermazione: “Emma è vera”. Chi si è soffermato a commentare la canzone? A Sanremo vola ad alta quota il nostro riscatto nazional-popolare: chiunque di noi ce la può fare. Il festival di Sanremo non è un talent show, almeno non lo era fino a pochi anni prima che i Carta e gli Scanu facessero da apripista al nuovo travestimento della macchina festivaliera.
“Un pallone sgonfio” non poteva farci vincere la partita, ma perlomeno incoraggia i pochi convinti che in giro ci sia ancora qualcuno capace di scrivere una canzone. Non una canzoncina qualunque, ma una filastrocca musicata che scioglie in un acquarello l’Italia di questi giorni. Samuele Bersani ha saputo denunciare – più di quanto non abbia fatto Celentano nei suoi sermoni apocrifi -la decadenza di questa Italia, i cui vertici predicano che “il posto fisso è un’illusione”, ma razzolano male. Di fatti, i loro pargoli hanno il culo al sicuro.
Il pallone sgonfio di Samuele Bersani è la scultura musicata che ritrae la leva calcistica del 2012: la faccia dell’Italia presa a pugni e schiaffi. Da ragazzino, nel campetto che fronteggiava casa mia, andavo alla ricerca di palloni bucati. Li recuperavo perchè avevo capito che il mondo non è sempre tondo, proprio come il pallone di Samuele Bersani. Sarebbe una vigliaccata far finta di niente. E se il Festival è ancora lo specchio del Belpaese, allora saranno questi versi a restare indelebili per sempre: “Ci vuole molto coraggio a ricercare la felicità in un miraggio che presto svanirà e a mantenere la calma adesso per non sentirsi un pallone perso”.